Testi per la vita monastica                                   Cultura Monastica - sezione II


scheda bio-bibliografica

Inos  Biffi

                  

Oltre il fumo dei « teologi vuoti »:

se la Bibbia non salva, non vale 


Don Inos Biffi, è docente di Teologia sistematica a Milano.


è autore di molte opere teologiche e di numerosi articoli.


L'articolo che presentiamo è apparso nel 2000 sul quotidiano AVVENIRE del 15 ottobre.


Tutti i diritti sono riservati per il testo  © all'Autore e all'Editore


a cura dei monaci della Abbazia Nostra Signora della Trinità - Morfasso (PC) Italia

 

 

 

  

Inos  Biffi

                

Oltre  il  fumo dei « teologi vuoti »:

    se la Bibbia non salva, non vale   

 

 

Se nella Chiesa di Dio - « riunita con molte fatiche e sacrifici, e anche con le sofferenze che Dio ha patito per noi » (Gregorio di Nazianzo) - si oscurasse la fede in Gesù Figlio di Dio e nella Trinità Santissima o ne fosse o attenuata l'affezione o perduta la beatitudine, l'esito sarebbe lo smarrimento della stessa Chiesa, il suo ritrovarsi confusa e poi semplicemente sfasciata.

Questo non avverrà mai per tutta la Chiesa, dal momento che la preghiera stessa di Gesù ne sostiene la fede assicurando al mondo la presenza indefettibile e il dono di una « Chiesa di Dio vivente, colonna e sostegno della verità » (1 Tm 3,15).

Ma in qualche plaga ecclesiale questo offuscamento è avvenuto - si pensi all'arianesimo o al semi-arianesimo - e anche oggi rischia di avvenire là dove, se non altro per dissipazione, l'attenzione ecclesiale e pastorale è vòlta ad altro o dove i « teologi vuoti » - come sempre Gregorio « il teologo » li chiamerebbe - hanno avvolto di una cortina fumosa la figura del Crocifisso unico Figlio di Dio, « della stessa sostanza del Padre », dal principio, prima dell'incarnazione.

Con questa verità di Cristo e della Trinità, cui tutte le altre si riconducono, è presente e vive nella Chiesa tutto il contenuto della fede e quindi di tutta Parola. La Chiesa è istituita mediatrice di questa Parola e di questi misteri che i « fedeli » hanno l'immenso dono di trovare e di ricevere con la loro fede. Scriveva sant'Ambrogio: «La Chiesa, colma del seme del Verbo e dello Spirito di Dio, dà alla luce il corpo di Cristo, cioè il popolo cristiano ».

Il Magistero nella Chiesa, ossia il carisma apostolico, proseguente in quello episcopale collegiale, con al vertice Pietro e il vescovo di Roma, è tutto al servizio di questa presenza degli intatti misteri della fede, che sono patrimonio di tutti i fedeli. Gesù ha dotato l'intera sua Chiesa della sua Parola e le ha donato il Magistero perché quella Parola apparisse e si conservasse proprio come Parola sua - e non di altri -, come epifania dei misteri di Dio, non alterabili dalla soggettiva e precaria interpretazione della sia pur bravura umana, e non come un bene offerto alla fruizione indipendente e solitaria di ciascuno.

Tale Parola è un bene, o un « deposito » da custodire e non dissipare, secondo l'esortazione di Paolo a Timoteo: « Custodisci ciò che ti è stato affidato » (1 Tm 6, 20); « Custodisci mediante lo Spirito Santo, che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato » (2 Tm 1,14).

Ma non si tratta di una dote o di  « deposito » di formule - benché queste siano indispensabili, e spesso di inestimabile valore - ma della realtà viva, che è lo stesso Signore o che sono le tre Persone della Trinità Santissima, misteri viventi della Fede. Sant'Ambrogio parlava del « Verbo di Dio che è luce, al quale attinge la lucerna della nostra fede ».

Il Magistero nella Chiesa non sta, dunque, « sopra» la Parola di Dio e come sgra- devole controllo del nostro Credo, ma, al contrario, si pone come la sua rassicurante e infallibile garanzia, che fonda tutta la sua ragione nell'attuale presenza del Signore e dello Spirito Santo.

L'esegeta vivente nella Chiesa è sempre Gesù Cristo. Quando si bussa « alla porta delle Scritture » - avvertiva sempre sant'Ambrogio - è il Verbo di Dio che viene ad aprire: « Di lui ha letto nell'Apocalisse: l'Agnello ha aperto il libro sigillato, che nessuno prima era riuscito ad aprire, perché solo il Signore Gesù ci ha fornito la chiave del sapere e ci ha dato la possibilità di aprire.

Ma Gesù apre nella sua Chiesa e alle anime dentro di lei. Anche la Scrittura è un bene ecclesiale, consegnato alla Chiesa o all'interpretazione del suo Magistero, perché neppure un suo frammento sia perduto o frainteso, come invece fatalmente avverrebbe - ed è deplorevolmente avvenuto - se esposta al libero esame di ognuno. La Riforma non ha affatto ripreso la Scrittura, nonostante le clamorose pretese e proclamazioni: e, infatti, sottomessa a tale libero esame, l'ha semplicemente perduta.

Non è per niente dai protestanti che dobbiamo imparare ad amare la Bibbia ma dalla Tradizione della Chiesa cattolica, che l'ha sempre considerata un patrimonio ecclesiale, del quale Gesù stesso le « suggerisce » l'esegesi. 

La Bibbia non è un libro morto, ma un libro che vive della vita « spirituale » della Chiesa, a partire dalla Chiesa dei Padri, che si illumina della sua intelligenza di fede, e si accende del suo affetto per Gesù Cristo. La Bibbia è un libro del passato che è un presente, e sarebbe dovuto bastare lo strappo operato dai Riformatori della Scrittura dall'esegesi « tradizionale », per rendere avvertiti che l'operazione era sospetta, per non dire perversa. Noi guardiamo ammirati e quasi increduli i monumenti di erudizione biblica di quell'esegesi scientifica: essa è senza dubbio non di rado eccellente, ma se per essa non entriamo infallibilmente nella salvifica Parola di Dio, che la Chiesa riconosce e annunzia, non ci serve a salvezza. E una Scrittura che non serve a salvezza non vale.

 

da: Avvenire del 15. 10. 2000, 

inserto BO sette,  rubrica: La cattedra dei credenti

torna all'indice dei testi                                                                                            torna all'inizio