San Benedetto - sezione II
Testi per la vita monastica

scheda

Carlo Morandin osb

Mutamento dei tempi e Regola benedettina

 


il testo qui offerto è il capitolo 13 dell’opera :
ALLA SCUOLA DELLE LETTURE SANTE - Avvio alla lectio divina
Carlo Morandin osb, Edizioni Dehoniane, Roma 1995


a cura dei monaci della Abbazia Nostra Signora della Trinità - Morfasso (PC) Italia


Tutti i diritti sono riservati per il testo: © all'Autore e all'Editore

 

 

Carlo Morandin osb

 

MUTAMENTO DEI TEMPI

E

REGOLA BENEDETTINA

 

Ogni figura di spiritualità cristiana ha il suo fondamento nella "carità perfetta", legge suprema di ogni regola e completamento della "storia della salvezza".

Quest'ultima è sacramentalmente celebrata e attualizzata, ora, nella liturgia, la cui fonte primaria è la sacra Scrittura.

Il Concilio Vaticano II definisce la liturgia « fons et culmes » (SC 10) della stessa vita della Chiesa e della spiritualità cristiana.

La liturgia nei suoi sacramenti è il vero incontro di Dio con l'uomo, il luogo della estensione dell'agape (carità) trinitaria a tutta la creazione in quel disegno di redenzione e di "ricapitolazione" che è appunto la "storia della salvezza".

Ogni regola di spiritualità non può prodursi senza queste interconnessioni: Bibbia, liturgia, storia della salvezza.

Il disegno è unico, come unico è l'ispiratore di tutto: lo Spirito Santo.

Non provoca meraviglia, dunque, l'atteggiamento dei Padri monastici medievali, che interpretavano la Regola con un forte "senso di libertà spirituale" contro ogni ristrettezza giuridica, consapevoli che al di sopra dei formalismi legali regnava la "carità" o, ancor più chiaramente, l'idea della "storia della salvezza" nel suo significato più ampio e profondo.

Tutto è opera dello Spirito che infonde la "carità; nel cuore dell'uomo"(Rm 5,5).

Nelle sue esposizioni spirituali sulla Regola benedettina l'abate Ruperto di Deutz si richiama al carattere "ispirato" di essa, ponendo in luce questi elementi: 1) lo Spirito Santo ha parlato per mezzo del santissimo padre Benedetto e ha disposto la Regola mediante la sua mente; 2) la Regola è costruita sopra il fondamento dell' autorità evangelica, il Nuovo Testamento; 3) tale autorità l'autore (Benedetto) l'ha «vista con gli occhi aperti della sua mente».

Il riferimento più antico è alla dottrina spirituale di Orsiesi, discepolo di s. Pacomio, che si richiama al carattere apostolico dell' insegnamento pacomiano, perché i nostri Padri, ancora viventi, "ci hanno costruito" sul fondamento degli Apostoli, dei profeti e della dottrina degli Evangeli, la quale contiene la pietra angolare che è il Signore Gesù Cristo.

Il disegno della vita spirituale viene così colto nella sua unitarietà: l'unità dei due Testamenti con la vita della Chiesa e con la propria vita spirituale fino al suo compimento, e l'unità dell'insegnamento evangelico con l'insegnamento spirituale.

Per Ruperto di Deutz la regola monastica di Pacomio è "ispirata" (« dettata dal cielo dallo stesso angelo »); quella di Basilio ha un carattere sacro perché egli « ha parlato con lingue di fuoco » (il richiamo alla Pentecoste è evidente) essendo stato, per la stessa testimonianza di Dio, « una colonna eretta fino al cielo ».

La "Regola dei monaci" Benedetto, « pieno dello spirito di tutti i giusti », l'ha scritta perché « è penetrato nei misteri (secreta penetravit) di Dio ». Il nesso tra "scrivere" la Regola e "penetrare nei misteri" Ruperto lo prende dai Dialoghi di s. Gregorio Magno, la fonte unica sulla vita e la spiritualità del santo legislatore.

Il senso di "entrare" nei misteri di Dio non è racchiuso nella semplice "visione del paradiso": esso manifesta nella vita del santo la "consumazione" della storia della salvezza, della quale la Regola è il frutto copioso.

La comparazione tra le diverse Regole monastiche e quindi l'eccellenza di una sull'altra, viene instaurata sulla base della loro più o meno forte connessione con la perfezione evangelica, il loro più o meno profondo aggancio alla sacra Scrittura.

Perché la superiorità è sempre della Parola di Dio contenuta nelle Scritture sante, in modo eminente negli Evangeli perfezionatori di tutto l'insegnamento dell'antica e della nuova alleanza.

E a dimostrazione di tale superiorità della Regola benedettina sulle altre Regole monastiche, Ruperto compara la scala dell'umiltà con i suoi dodici gradini, la cui dottrina costituisce il cap. 7 della Regola benedettina, con la "scala" delle beatitudini evangeliche, raccolte da Matteo (Mt 5,3-12). Con la ascensione di questa scala la Regola benedettina conduce i monaci alla sommità della gloria, come Cristo vi ha condotto i dodici Apostoli con la scuola evangelica.

La vita monastica è pertanto aderenza perfetta alla storia della salvezza, il cui centro e significato è il Cristo.
La spiritualità monastica ha il suo congiungimento alla Bibbia attraverso la storia della salvezza vissuta nell'oggi, nella e per la celebrazione liturgico-sacramentale, sua attualizzazione nel presente, in modo misterico ma reale.

All'interno di questa esperienza il monachesimo cristiano ha scoperto il suo dinamismo e la sua vitalità.

L'ancorarsi alla storia della salvezza vissuta in piena aderenza, gli ha reso superflue tutte le filosofie religiose, disponendolo all'acquisizione cosciente di parte delle loro tecniche di preghiera e di ascesi senza snaturare la propria identità.

La netta distinzione del monachesimo cristiano da ogni forma di ascetismo naturale o da filosofie ascetico-mistiche è dovuta all'essenzialità di esso nel trovarsi in diretto rapporto con la economia divina della salvezza.

La spiritualità monastica non è chiusa nella contemplazione, come non lo è nell'esercizio ascetico; essa sprigiona dalla "carità" intesa come storia della salvezza completata nella prassi quotidiana articolata in senso dinamico negli elementi costanti che la caratterizzano: preghiera, lavoro, fraternità, ascesi, celebrazione della liturgia, lectio divina. Ed ogni altra virtù nasce e si sviluppa nel monaco e nella sua comunità nella tensione verso tali elementi costanti.

Il problema sempre presente in ogni generazione è il vivere quotidiano, il cui contesto sociale, economico e culturale è in continuo mutamento. Questo non è prodotto dalla famiglia monastica; è semplicemente il dato di fatto, le cui cause di fondo sono all'esterno dell'ambiente monastico. Questi mutamenti non sono senza riflessi e risvolti, talvolta dolorosi, nella Chiesa stessa, a sua volta costretta a radicali modifiche del suo impegno pastorale per rispondere con adeguatezza alle esigenze insorgenti nelle nuove generazioni.

Ogni generazione monastica ha dovuto, in termini più o meno ampi, affrontare coscienziosamente il suo inserimento nei nuovi contesti, primo tra tutti quello ecclesiale. Anche qui il riferimento a tutte le riforme che la Chiesa ha operato al proprio interno dopo la celebrazione del suo ultimo Concilio Ecumenico, si evidenzia da sé.

E riformare una comunità monastica – di conseguenza ogni singolo monaco – è lavoro fattibile senza deturpare la sua identità e senza stravolgere il suo significato? Questo interrogativo non è ozioso né è prurito di innovazione. Il problema, infatti, non ha alcun riferimento all'innovazione; esso punta piuttosto all' "inserimento", ossia al recupero degli spazi perduti nella cristianità a motivo dei mutamenti, spesso profondi, avvenuti nella società in cui la stessa cristianità vive.

In concreto tali "inserimenti" spesso avvengono in forme occulte ed altre distorte: il « farsi estraneo agli usi del mondo » (RB 4,20), consegnato al monaco come strumento di ascesi, incontra con una certa frequenza degli handicap (diversità di linguaggio, rovesciamenti culturali, nuove leggi economiche, mutamenti politici, innovamenti teologici con le loro relative incertezze, insorgere spontaneo di movimenti ecclesiali, ecc.) capaci di produrre un procedimento di "riduzione" all'inverso di quello operato dai Padri monastici del medioevo. Questi hanno superato le loro difficoltà nell'osservare la Regola (e le polemiche del tempo lo dimostrano), riconducendola alla "carità perfetta" di cui si è parlato prima. Oggi questa capacità di ricondurre la Regola alla sua origine fontale, la Parola di Dio o Bibbia, è andata in parte perduta anche a motivo della stessa difficoltà di seguire con attenzione gli sviluppi degli studi biblici e liturgici ritenuti essenziali. Così l' ''estraneità'' si può gradualmente trasformare in "rassomiglianza" per via dell'altezza dei tempi (!).

Non sono difficoltà insormontabili. La stessa Regola benedettina è nata in un periodo di mutamenti radicali della società del tempo, e a questi ha dato una risposta scoprendo gli aspetti autentici del volto del monachesimo: radicamento nella Parola di Dio, testimonianza di inserimento storico nella vocazione battesimale e di assimilazione disinteressata alla "storia della salvezza" nell'accettazione pura delle sue tappe più forti: creazione con la sua legge di alleanza con Dio, il senso reale del peccato, l'impegno vigoroso del ritorno alla casa del Padre e la legge del lavoro; incarnazione con l'imperativo dell'imitazione di Gesù nella sua opera di mediazione e di redenzione a favore dell'umanità intera; dono dello Spirito, principio vitale di ogni santificazione e tensione verso il compimento definitivo della storia nell'annuncio permanente della fine delle cose presenti quale mutamento radicale della vita e trasformazione di ogni realtà attuale nel definitivo compimento del regno di Dio.

La Regola benedettina ha superato i limiti della possibile staticità e sclerotizzazione di tutte le esperienze umane in forza di tali elementi costitutivi del suo volto. Essa non usa termini come "mutare", "cambiare"; preferisce disponere e displicere :
« Questo principalmente avvertendo, che se a qualcuno per caso questa distribuzione dei salmi non piacesse, distribuisca pure lui se giudicherà meglio in altro modo » (RB 18,22), purché non si arresti il cammino verso la "carità perfetta" a motivo di osservanze legali.

La spiritualità monastica – ed è questo il carattere delle Regole monastiche classiche – è testimonianza di fede all'alleanza che Dio ha sancito nel sangue del suo Figlio versato per la remissione dei peccati, comunicazione della "paternità spirituale", autentica maturazione della storia della salvezza nel credente, più specificamente nel monaco.

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