P.
Placide Deseille
FUOCO
ARDENTE
una
guida spirituale
(
qui sono riportate soltanto le introduzioni )
PROLOGO
Regola fondamentale - e in certo senso unica - del monaco è
l'Evangelo, che egli si impegna a mettere in pratica radicalmente in una
vita profetica. Dovrà cercare in tutto di seguire l'esempio e
l'insegnamento del Signore Gesù, che si è fatto volontariamente il servo
di tutti, mite e umile di cuore. Dovrà lasciarsi penetrare dallo spirito
delle beatitudini e del discorso della montagna;
alla conformità ad essi ci conduce, nel profondo del nostro cuore,
lo Spirito santo che è stato riversa- to
in noi e che ci vuole plasmare a immagine del Figlio diletto del Padre.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
1. LA VITA MONASTICA
È per unirsi a Dio con cuore indiviso e per vivere di Lui solo che
il monaco ha lasciato il mondo, rinunciando alle sue gioie più legittime.
Il timore di Dio, un amore radicale, la profonda conoscenza della sua
grandezza e della sua santità, e al tempo stesso della sua sconvolgente
vicinanza, ispireranno tutte le scelte e le decisioni del monaco e
unificheranno la sua vita.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
2. LA PREGHIERA CONTINUA
Il monaco ha rinunciato a formarsi una famiglia, si è liberato
dalle occupazioni del mondo per esprimere con tutto il proprio essere -
anima e corpo - la sua consegna piena e radicale al Signore. La potenza
del Cristo risorto l'ha raggiunto, l'ha strappato alle condizioni normali
dell'esistenza umana, per consentirgli di vivere in una comunione
cosciente e il più possibile continua con la santa Trinità. La sua vita
è una profezia vivente della Gerusalemme celeste, nella quale entrerà
tutta l'umanità salvata dopo la risurrezione finale. Per questo la
preghiera - in chiesa o in cella - sarà la sua prima occupazione;
consacrerà lunghi momenti alla lode di Dio e all'intercessione per tutti
gli uomini, e si sforzerà di trasfigurare anche le sue occupazioni più
materiali facendone una liturgia interiore.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
3. IL COMBATTIMENTO INVISIBILE
Il deserto è il luogo nel quale Dio si rivela all'uomo e parla al
suo cuore, ma è anche l'arena dove ci si consegna a un'aspra lotta contro
tutte le tendenze sregolate che portiamo in noi. Nella solitudine queste
tendenze si manifestano più facilmente, sotto forma di "pensieri",
cioè di sug- gestioni, impulsi, fantasie malvagie. Il monaco potrà
resistere soltanto se instancabilmente sup- plica Cristo, vincitore di
Satana, di risvegliare in lui, mediante il dono dello Spirito santo,
impulsi e desideri buoni, capaci di elevarlo al di sopra delle tentazioni.
"Signore Gesù Cristo, Figlio di Dia, abbi pietà di me, peccatore!".
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
4. LE PASSIONI
La tradizione monastica ci ha consegnato il catalogo delle otto
principali tentazioni, dei "pensieri"
malvagi, che muovono guerra all'uomo [gola,
lussuria, amore per il denaro, tristezza, collera, acedia, vanagloria,
superbia]. Questa lista
dei nemici della vita spirituale può aiutarci a restare vigilanti e a smascherare i loro assalti.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
5. IL DISCERNIMENTO
La legge di Cristo non consiste semplicemente in un codice
esteriore di precetti, ma si identi- fica con la presenza interiore dello
Spirito santo che trasforma i nostri cuori, donando loro il senso e il
desiderio di ciò che piace a Dio. Il monaco dovrà dunque essere quanto
mai attento alle ispi- razioni e alle mozioni dello Spirito di Dio.
Satana però è molto abile nel trasformarsi in angelo di luce;
occorre dunque discernere l'origine delle ispirazioni che riceviamo e la
reale natura delle nostre motivazioni. Da questo dipende la qualità
spirituale dei nostri atti e non soltanto la loro rettitudine esteriore.
Ogni azione buona in se stessa può essere viziata da una motivazione im-
pura. Questa vigilanza su di sé non deve essere confusa con
un'introspezione minuziosa e soffo- cante;
saranno piuttosto l'umiltà del cuore e una serena attenzione alla
divina presenza a consen- tire all'anima di percepire come d'istinto ciò
che è in dissonanza con lo Spirito di Dio.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
6. IL RICORSO AL PADRE SPIRITUALE
Nessuno è buon giudice di se stesso.
Per questo motivo normalmente ci è necessario l'aiuto di un altro,
per vagliare i nostri desideri e discernere le decisioni da prendere nella
nostra vita. Il vero discernimento
degli spiriti è un carisma che generalmente è accordato solo a chi
ha un cuo- re profondamente rappacificato. E così i padri hanno sempre
insistito sulla necessità della manife- stazione dei pensieri
a un padre spirituale.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
7.
L'UMILTÀ
L'umiltà di cuore è l'anima di ogni forma di ascesi nella vita
monastica. L'ascesi non è
altro che un mezzo per esprimere - anche con il proprio corpo - e per
radicare profondamente dentro di noi una rinuncia vera alla nostra pretesa
autosufficienza, all'affermazione e all'esaltazione del nostro io, alla
nostra sete di onore e di stima, e tutto questo affinché non siamo più
noi stessi a vivere in noi, ma il Cristo (cf: Gal 2,20), che è l'amore, e
che ha donato se stesso al Padre e agli uomini.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
8. L'OBBEDIENZA
La tradizione monastica ha considerato l'obbedienza come la
migliore espressione dell'umiltà vera e non illusoria. Chi obbedisce,
infatti, non si ritiene superiore agli altri; rinuncia a imporre le sue
idee, i suoi gusti, le sue preferenze; egli non ricerca il proprio
interesse, ma quello degli altri e - a imitazione del Signore - preferisce
servire piuttosto che essere servito.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
9. LA CARITÀ
Sostentati dal medesimo pane eucaristico, dissetati dallo stesso
Spirito, i cristiani sono una sola cosa nel corpo di Cristo. L'amore
vicendevole è così la legge fondamentale della loro vita, un amore che
esige l'incessante dono della vita per gli altri attraverso le molte
rinunce - umili ma spesso assai dolorose - che la vita quotidiana porta
con sé. La comunità monastica è un luogo privilegiato per esercitarsi
in questo amore che, attraverso la morte a noi stessi, ci fa entrare nella
vita e nella gioia dell'indivisibile Trinità.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
10. L'OSPITALITÀ
L'amore cristiano è universale. La carità del monaco non può
dunque limitarsi, anche sul pia- no della sua realizzazione pratica, agli
orizzonti della comunità. Essa deve rimanere aperta e saper accogliere
ospiti e pellegrini attraverso i quali Cristo viene a visitarla. I
monasteri saranno così dei luoghi di preghiera e di vita spirituale per
tutti quelli che cercano Dio. Per molti una breve visita al monastero,
l'accoglienza di un fratello, la partecipazione a un Ufficio, saranno
l'occasione per in- travedere, oltre la dura scorza della vita quotidiana,
la presenza segreta del regno di Dio su questa terra.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
11. IL SILENZIO
Il silenzio è una condizione indispensabile per una preghiera
profonda ed è al tempo stesso un frutto di questa preghiera. Deve
tuttavia essere praticato con discernimento, e non avrà alcun valore
spirituale se non è accompagnato dal silenzio del cuore, al quale si
giunge soltanto con una strenua lotta contro le divagazioni dello spirito,
contro le preoccupazioni inutili e contro la rumina- zione interiore dei
desideri frustrati, delle tristezze, delle gelosie e dei rancori.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
12. LA POVERTÀ
La rinuncia ad appropriarsi i beni materiali e l'abitudine ad
accontentarsi di poco costituisco- no, per il monaco, un mezzo per
esprimere e per realizzare un perfetto spossesso di sé. Mediante questa
povertà evangelica egli rinuncia a chiudersi nella propria
autosufficienza e nel proprio individualismo, per entrare più pienamente
in comunione con Dio e con gli uomini. La povertà testimonia la
preferenza che accordiamo ai beni del regno di Dio rispetto ai beni
terreni, il nostro abbandono filiale al Padre celeste e il nostro amore
per il prossimo.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
13. L'AUSTERITÀ DI VITA
Nell'uomo, anima e corpo sono uniti a tal punto che il
comportamento esteriore è il segno e il coadiutore efficace degli
atteggiamenti interiori, che dispongono il cuore ad accogliere la grazia o
che sono il frutto di questa accoglienza. Per questo il monaco deve unire,
alla lotta contro i pen- sieri e alla pratica delle virtù evangeliche,
l'ascesi del corpo. Essa gli consente di attualizzare, in una maniera
veramente personale e che lo impegna con tutto il suo essere, il mistero
della morte e della risurrezione al quale è stato iniziato attraverso il
battesimo.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
14. IL DIGIUNO E IL DOMINIO DI SÉ
In un racconto di grande portata simbolica il Libro
della Genesi ha descritto il peccato d'or- goglio di Adamo e di Eva
come una disobbedienza a un divieto concernente il cibo. E gli Evangeli
mostrano nel digiuno di Cristo nel deserto uno dei primi gesti
significativi mediante il quale egli manifestava che suo cibo era fare la
volontà del Padre suo ed esprimeva la sua dipendenza filiale nei suoi
confronti, prefigurando così l'offerta di sé sulla croce. In tutta la
Scrittura il digiuno inten- de esprimere l'umiltà del cuore, la supplica
insistente e l'attesa di Dio. L'obbedienza
alle regole del digiuno e la sobrietà riguardo al cibo aiuteranno il
monaco a spogliarsi del suo egoismo, del suo "io" carnale e
diventeranno simbolo della trasfigurazione progressiva del suo essere per
opera dello Spinto santo.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
15. LE VEGLIE
La silenziosa oscurità della notte favorisce il ritorno al cuore e
la preghiera. D'altra parte, nulla meglio delle veglie è in grado di
esprimere la vigilanza dell'anima attenta a non lasciarsi vincere dal
torpore spirituale, e il desiderio di incontrare Dio nella preghiera e
nell'ascolto della Parola, nell'attesa del suo ritorno.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
16. LE METANÌE
Stare in piedi, chinare il capo, prostrarsi costituiscono gli
atteggiamenti tradizionali della preghiera cristiana. Mentre la posizione
eretta esprime la gioia pasquale, la piena confidenza con la quale ci
rivolgiamo al nostro Padre celeste, l'inchino del capo e la prostrazione
simbolizzano l'adorazione, la coscienza della nostra piccolezza e della
nostra fragilità dinanzi alla santità divina e la compunzione che nasce
al ricordo dei nostri peccati. Questi atteggiamenti favoriscono il risve-
glio della nostra sensibilità spirituale profonda.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
17. IL LAVORO
Ogni giorno il monaco deve consacrare diverse ore a un lavoro, che
gli consenta di guada- gnarsi la vita e di aiutare gli altri. Questo
lavoro sarà contemporaneamente un esercizio di ascesi e un fattore di
equilibrio e di realismo spirituale. Dovrà essere adempiuto in un clima
di preghiera e di carità fraterna, con coraggio e generosità, ma
evitando l'eccessiva agitazione e l'attivismo.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
18. AGIRE NEL SEGRETO
Il monaco deve fare tutto quello che dipende da lui, per
testimoniare Cristo e non causare scandalo a nessuno. Il desiderio di
essere gradito agli uomini o il timore di non esserlo, la ricerca della
loro stima e della loro considerazione, non dovranno però mai
trasformarsi nelle motivazioni di fondo del suo comportamento. Desideroso
di vivere soltanto per Dio, sotto il suo sguardo, si sforzerà piuttosto
di nascondere tutto quello che potrebbe attirare su di lui l'attenzione o
metterlo in mostra. Niente è più contrario allo spirito dell'Evangelo
che il rispetto umano e il fariseismo.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
19. UMILE FIDUCIA
La nostra salvezza non può venire dall'uomo, ma da Dio solo. La
condizione fondamentale del progresso spirituale è non sperare nulla da
se stessi e sperare tutto da Dio. Per diverse vie il Signore ci può
condurre alla convinzione intima, reale della nostra debolezza e della
nostra im- potenza. Può permettere a questo fine dei lunghi periodi di
aridità interiore, dei 'fallimenti'
dolo- rosi e perfino la ricaduta negli stessi peccati. L'importante è non
scoraggiarsi, non rinunciare a perseguire uno scopo apparentemente
inutile, ma restare al proprio posto e ricominciare senza stancarsi la
lotta, supplicando il Signore dal profondo del cuore di venire in nostro
aiuto. Si dovrà forse attendere a lungo, prima che la fiducia in noi
stessi - profondamente radicata in noi - venga estirpata. Ma Dio è
fedele, e il suo intervento è altrettanto certo quanto il sorgere
dell'aurora dopo la notte.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
20. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO
Il cristiano è rinnovato dallo Spirito santo nel battesimo e gli
altri sacramenti accrescono in lui questo dono iniziale. Ma esso sfugge
alla sua coscienza, non dà ordinariamente l'esperienza di Dio. Perché
l'uomo prenda coscienza della presenza intima di Cristo, perché acquisti
il gusto e il senso profondo di Dio e delle cose di Dio ed esperimenti così
un rinnovamento interiore decisivo, sono necessarie nuove effusioni dello
Spirito. Questi doni che aprono la nostra vita spirituale al- l'esperienza
e che segnano l'ingresso nella piena maturità cristiana, sono totalmente
gratuiti; non sono legati a un sacramento, non sono accordati abitualmente
se non a quelli il cui cuore è stato purificato da una lunga lotta
spirituale, condotta con l'aiuto segreto della grazia. Nel mondo mona-
stico, gli uomini che ne sono favoriti si sono generalmente mostrati avari
di confidenze su tal genere di esperienze. Soltanto chi ha gustato può
conoscere il sapore; parlarne sarebbe esporsi all'incomprensione e
rischierebbe di eccitare l'immaginazione di quelli che non hanno ancora
avuto accesso a tali esperienze e di farli sprofondare nell'illusione.
Quello che ci lasciano intravedere dei doni di Dio, tuttavia, è in grado
di ravvivare il nostro fervore e ci fa meglio comprendere il senso del
nostro sforzo spirituale.
[Seguono i testi
dei Padri del deserto].
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