Capitolo III VI HO COSTITUITI PERCHÉ ANDIATE E PORTIATE FRUTTO La corresponsabilità dei fedeli laici nella Chiesa-Missione Comunione missionaria 32. Riprendiamo l'immagine biblica della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e naturale, alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e vivificati dalla vite, i tralci sono chiamati a portare frutto: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto» (Gv 15, 5). Portare frutto è un'esigenza essenziale della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta frutto non rimane nella comunione: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre mio) lo toglie» (Gv 15, 2). La comunione con Gesù, dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione assolutamente indispensabile per portare frutto: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). E la comunione con gli altri è il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono di Cristo e del suo Spirito. Ora la comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione. E' sempre l'unico e identico Spirito colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare il Vangelo «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione, ricevuta in dono, ha una destinazione universale. Così la Chiesa si sente debitrice all'umanità intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde nei cuori dei credenti la carità di Gesù Cristo, prodigiosa forza di coesione interna ed insieme di espansione esterna. La missione della Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l'ha voluta: quella di «segno e strumento (...) di unità di tutto il genere umano»(120). Tale missione ha lo scopo di far conoscere e di far vivere a tutti la «nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell'evangelista Giovanni definisce oramai in modo irrevocabile il termine beatificante al quale punta l'intera missione della Chiesa: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 3). Ora nel contesto della missione della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di responsabilità. Ne erano pienamente consapevoli i Padri del Concilio Vaticano II: «I sacri Pastori, infatti, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune»(121). La loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con vigore accresciuto, in tutti i lavori del Sinodo. Annunciare il Vangelo 33. I fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati dai sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo. Leggiamo in un testo limpido e denso del Concilio Vaticano II: «In quanto partecipi dell'ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa (...). Nutriti dell'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle opere apostoliche della medesima; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione nel comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la loro competenza rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa»(122). Ora è nell' evangelizzazione che si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa, il cui cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15); «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). «Evangelizzare _ scrive Paolo VI _ è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda»(123). Dall'evangelizzazione la Chiesa viene costruita e plasmata come comunità di fede: più precisamente, come comunità di una fede confessata nell'adesione alla Parola di Dio, celebrata nei sacramenti, vissuta nella carità, quale anima dell'esistenza morale cristiana. Infatti, la «buona novella» tende a suscitare nel cuore e nella vita dell'uomo la conversione e l'adesione personale a Gesù Cristo Salvatore e Signore; dispone al Battesimo e all'Eucaristia e si consolida nel proposito e nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito. Certamente l'imperativo di Gesù: «Andate e predicate il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo valore ed è carico di un'urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige assolutamente che la parola di Cristo riceva un'obbedienza più pronta e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a me, se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). L'ora è venuta per intraprendere una nuova evangelizzazione 34. Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del cosiddetto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta «come se Dio non esistesse». Ora l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la stessa vita umana che quei problemi pone. In altre regioni o nazioni, invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette. Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà. Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni. Ora i fedeli laici, in forza della loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l'unità d'una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza. A tutti gli uomini contemporanei ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho iniziato il mio servizio pastorale: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo Lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è in certo del senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi _ vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia _ permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna»(124). Spalancare le porte a Cristo, accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una minaccia per l'uomo, bensì è l'unica strada da percorrere se si vuole riconoscere l'uomo nell'intera sua verità ed esaltarlo nei suoi valori. Sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana. L'uomo è amato da Dio! E' questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è «Via, Verità, Vita!» (Gv 14, 6). Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è destinata alla formazione dicomunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio. I fedeli laici hanno la loro parte da compiere nella formazione di simili comunità ecclesiali, non solo con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e pertanto con la loro insostituibile testimonianza, ma anche con lo slancio e l'azione missionaria verso quanti ancora non credono o non vivono più la fede ricevuta con il Battesimo. In rapporto alle nuove generazioni un contributo prezioso, quanto mai necessario, deve essere offerto dai fedeli laici con una sistematica opera di catechesi. I Padri sinodali hanno accolto con gratitudine il lavoro dei catechisti, riconoscendo che essi «hanno un compito di grande peso nell'animazione delle comunità ecclesiali»(125). Certamente i genitori cristiani sono i primi e insostituibili catechisti dei loro figli, a ciò abilitati dal sacramento del Matrimonio; nello stesso tempo però dobbiamo essere tutti coscienti del «diritto» che ogni battezzato ha di venire istruito, educato, accompagnato nella fede e nella vita cristiana. Andate in tutto il mondo 35. La Chiesa, mentre avverte e vive l'urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti _ e sono milioni e milioni di uomini e di donne _ ancora non conoscono Cristo Redentore dell'uomo. E' questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua Chiesa. L'opera dei fedeli laici, che peraltro non è mai mancata in questo ambito, si rivela oggi sempre più necessaria e preziosa. In realtà, il comando del Signore «Andate in tutto il mondo» continua a trovare molti laici generosi, pronti a lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione. Anche coppie di sposi cristiani, a imitazione di Aquila e Priscilla (cf. At 18; Rom 16, 3 s), vanno offrendo una confortante testimonianza di amore appassionato a Cristo e alla Chiesa mediante la loro presenza operosa nelle terre di missione. Autentica presenza missionaria è anche quella di coloro che, vivendo per vari motivi in paesi o ambienti dove la Chiesa non è ancora stabilita, testimoniano la loro fede. Ma il problema missionario si presenta attualmente alla Chiesa con un'ampiezza e con una gravità tali che solo un'assunzione veramente solidale di responsabilità da parte di tutti i membri della Chiesa, sia come singoli sia come comunità, può far sperare in una risposta più efficace. L'invito che il Concilio Vaticano II ha rivolto alle Chiese particolari conserva tutto il suo valore, anzi esige oggi un'accoglienza più generalizzata e più decisa: «La Chiesa particolare, dovendo rappresentare nel modo più perfetto la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo»(126). La Chiesa deve fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un mondo che con il crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e di vivere il Vangelo. «Le Chiese cosiddette più giovani _ hanno detto i Padri sinodali _ abbisognano della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole Chiese attingano dalle ricchezze delle altre Chiese»(127). In questa nuova tappa, la formazione non solo del clero locale ma anche di un laicato maturo e responsabile si pone nelle giovani Chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della plantatio Ecclesiae(128). In tal modo le stesse comunità evangelizzate si slanciano verso nuove contrade del mondo per rispondere anch'esse alla missione di annunciare e testimoniare il Vangelo di Cristo. I fedeli laici, con l'esempio della loro vita e con la propria azione, possono favorire il miglioramento dei rapporti tra i seguaci delle diverse religioni, come hanno opportunamente rilevato i Padri sinodali: «Oggi la Chiesa vive dappertutto in mezzo a uomini di religioni diverse (...). Tutti i fedeli, specialmente i laici che vivono in mezzo ai popoli di altre religioni, sia nelle regioni di origine, sia in terre di emigrazione, debbono essere per costoro un segno del Signore e della sua Chiesa, in modo adatto alle circostanze di vita di ciascun luogo. Il dialogo tra le religioni ha un'importanza preminente perché conduce all'amore e al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i pregiudizi tra i seguaci delle diverse religioni e promuove l'unità e l'amicizia tra i popoli»(129). Per l'evangelizzazione del mondo occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità di favorire il sorgere e il maturare di vocazioni specificamente missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato della preghiera, secondo la parola stessa del Signore Gesù: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!» (Mt 9, 37-38). Vivere il Vangelo servendo la persona e la società 36. Accogliendo e annunciando il Vangelo nella forza dello Spirito la Chiesa diviene comunità evangelizzata ed evangelizzante e proprio per questo si fa serva degli uomini. In essa i fedeli laici partecipano alla missione di servire la persona e la società. Certamente la Chiesa ha come supremo fine il Regno di Dio, del quale «costituisce in terra il germe e l'inizio»(130), ed è quindi totalmente consacrata alla glorificazione del Padre. Ma il Regno è fonte di liberazione piena e di salvezza totale per gli uomini: con questi, allora, la Chiesa cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia. Avendo ricevuto l'incarico di manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al tempo stesso la Chiesa svela l'uomo all'uomo, gli fa noto il senso della sua esistenza, lo apre alla verità intera su di sé e sul suo destino(131). In questa prospettiva la Chiesa è chiamata, in forza della sua stessa missione evangelizatrice, a servire l'uomo. Tale servizio si radica primariamente nel fatto prodigioso e sconvolgente che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»(132). Per questo l'uomo «è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione»(133). Proprio in questo senso si è espresso, ripetutamente e con singolare chiarezza e forza, il Concilio Vaticano II nei suoi diversi documenti. Rileggiamo un testo particolarmente illuminante della Costituzione Gaudium et spes: «La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine dell'umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia»(134). In questo contributo alla famiglia degli uomini, del quale è responsabile l'intera Chiesa, un posto particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro «indole secolare», che li impegna, con modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale. Promuovere la dignità della persona 37. Riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana costituisce un compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini. Tra tutte le creature terrene, solo l'uomo è «persona», soggetto cosciente e libero e, proprio per questo, «centro e vertice» di tutto quanto esiste sulla terra(135). La dignità personale è il bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli trascende in valore tutto il mondo materiale. La parola di Gesù: «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8, 36) implica una luminosa e stimolante affermazione antropologica: l'uomo vale non per quello che «ha» _ possedesse pure il mondo intero! _ , quanto per quello che «è». Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il bene che è la persona stessa. La dignità della persona manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato ad essere «figlio nel Figlio» e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato all'eterna vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni violazione della dignità personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell'uomo. In forza della sua dignità personale l'essere umano è sempre un valore in sé e per sé, e come tale esige d'essere considerato e trattato, mai invece può essere considerato e trattato come un oggetto utilizzabile, uno strumento, una cosa. La dignità personale costituisce il fondamento dell'eguaglianza di tutti gli uomini tra loro. Di qui l'assoluta inaccettabilità di tutte le più svariate forme di discriminazione che, purtroppo, continuano a dividere e a umiliare la famiglia umana, da quelle razziali ed economiche a quelle sociali e culturali, da quelle politiche a quelle geografiche, ecc. Ogni discriminazione costituisce un'ingiustizia del tutto intollerabile, non tanto per le tensioni e per i conflitti ch'essa può generare nel tessuto sociale, quanto per il disonore inferto alla dignità della persona: non solo alla dignità di chi è vittima dell'ingiustizia, ma ancor più di chi quell'ingiustizia compie. Fondamento dell'uguaglianza di tutti gli uomini tra loro, la dignità personale è anche il fondamento della partecipazione e della solidarietà degli uomini tra loro: il dialogo e la comunione si radicano ultimamente su ciò che gli uomini «sono», prima e più ancora che su quanto essi «hanno». La dignità personale è proprietà indistruttibile di ogni essere umano. E' fondamentale avvertire tutta la forza dirompente di questa affermazione, che si basa sull'unicità e sull'irripetibilità di ogni persona. Ne deriva che l'individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe schiacciare e annullare nell'anonimato della collettività, dell'istituzione, della struttura, del sistema. La persona, nella sua individualità, non è un numero, non è un anello d'una catena, né un ingranaggio di un sistema. L'affermazione più radicale ed esaltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna. Anche di questo continua a parlarci il Natale cristiano(136). Venerare l'inviolabile diritto alla vita 38. Il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il singolo, né il gruppo, né l'autorità, né lo Stato, li può modificare né tanto meno li può eliminare, perché tali diritti provengono da Dio stesso. Ora l'inviolabilità della persona, riflesso dell'assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la sua prima e fondamentale espressione nell'inviolabilità della vita umana. E' del tutto falso e illusorio il comune discorso, che peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani _ come ad esempio sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla cultura _ se non si difende con la massima risolutezza il diritto alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti della persona. La Chiesa non si è mai data per vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita, proprio di ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia dai singoli sia dalle stesse autorità. Titolare di tale diritto è l'essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento sino alla morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di salute o di malattia, di perfezione o di handicap, di ricchezza o di miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore»(137). Ora se di tutti sono la missione e la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni essere umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi sono chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere economico e politico. Nell'accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più necessaria quanto più dominante si è fatta una «cultura di morte». Infatti «la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel "Sì", di quell' "Amen", che è Cristo stesso (cf. 2 Cor 1, 19; Ap 3, 14). Al "no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente "Sì", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita»(138). Tocca ai fedeli laici, che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il «sì» della Chiesa alla vita umana. Sulle frontiere della vita umana possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con l'enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente al sorprendente potere tecnologico: l'uomo, infatti, è in grado oggi non solo di «osservare», ma anche di «manipolare» la vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo. La coscienza morale dell'umanità non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita umana. Forse non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l'unica àncora di salvezza, perché l'uomo nella ricerca scientifica e in quella applicata possa agire sempre con intelligenza e con amore, ossia rispettando, anzi venerando l'inviolabile dignità personale di ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza. Ciò avviene quando con mezzi leciti, la scienza e la tecnica si impegnano nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi, rifiutando invece _ per la dignità stessa della ricerca _ interventi che risultano alterativi del patrimonio genetico dell'individuo e della generazione umana(139). I fedeli laici, a vario titolo e a diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure nell'ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente accettare le «sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica. Come hanno detto i Padri sinodali, «i cristiani debbono esercitare la loro responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non come servi di essa (...). Nella prospettiva di quelle «sfide» morali, che stanno per essere provocate dalla nuova e immensa potenza tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è della massima importanza che i laici cristiani _ con l'aiuto di tutta la Chiesa _ si prendano a carico di richiamare la cultura ai principi di un autentico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei diritti dell'uomo possano trovare fondamento dinamico e sicuro nella stessa sua essenza, quella essenza che la predicazione evangelica ha rivelato agli uomini»(140). Urge oggi, da parte di tutti, la massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione, infatti, tende a manipolare non solo l'essenza biologica ma anche i contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli di vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l'emarginazione di interi popoli. Liberi di invocare il Nome del Signore 39. Il rispetto della dignità personale, che comporta la difesa e la promozione dei diritti umani, esige il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo. Non è, questa, un'esigenza semplicemente «confessionale», bensì un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa dell'uomo. Il rapporto con Dio, infatti, è elemento costitutivo dello stesso «essere» ed «esistere» dell'uomo: è in Dio che noi «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28). Se non tutti credono a tale verità, quanti ne sono convinti hanno il diritto di essere rispettati nella loro fede e nelle scelte di vita, individuale e comunitaria, che da essa derivano. E' questo il diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa, il cui riconoscimento effettivo è tra i beni più alti e tra i doveri più gravi di ogni popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della società: «La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta la società, così come della propria realizzazione di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale della pacifica convivenza degli uomini (...): Il diritto civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto attinge la sfera più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali»(141). Il Sinodo non ha dimenticato i tanti fratelIi e sorelle che ancora non godono di tale diritto e che devono affrontare disagi, emarginazioni, sofferenze, persecuzioni, e talvolta la morte a causa della confessione della fede. Nella maggioranza sono fratelli e sorelle del laicato cristiano. L'annuncio del Vangelo e la testimonianza cristiana della vita nella sofferenza e nel martirio costituiscono l'apice dell'apostolato dei discepoli di Cristo, così come l'amore al Signore Gesù sino al dono della propria vita costituisce una sorgente di fecondità straordinaria per l'edificazione della Chiesa. La mistica vite testimonia così la sua rigogliosità, come rilevava Sant'Agostino: «Ma quella vite, com'era stato preannunciato dai Profeti e dallo stesso Signore, che diffondeva in tutto il mondo i suoi tralci fruttuosi, tanto più diveniva rigogliosa quanto più era irrigata dal molto sangue dei martiri»(142). La Chiesa tutta è profondamente grata per questo esempio e per questo dono: da questi suoi figli essa trae motivo per rinnovare il suo slancio di vita santa e apostolica. In tal senso i Padri sinodali hanno ritenuto loro speciale dovere «ringraziare quei laici i quali vivono come instancabili testimoni della fede, in fedele unione con la Sede Apostolica, nonostante le restrizioni della libertà e la privazione dei ministri sacri. Essi si giocano tutto, perfino la vita. I laici in questo modo danno testimonianza di una proprietà essenziale della Chiesa: la Chiesa di Dio nasce dalla grazia di Dio e ciò si manifesta nel modo più sublime nel martirio»(143). Quanto abbiamo sinora detto sul rispetto della dignità personale e sul riconoscimento dei diritti umani riguarda senza dubbio la responsabilità di ciascun cristiano, di ciascun uomo. Ma dobbiamo immediatamente rilevare come tale problema rivesta oggi una dimensione mondiale: è, infatti, una questione che investe oramai interi gruppi umani, anzi interi popoli che sono violentemente vilipesi nei loro fondamentali diritti. Di qui quelle forme di disuguaglianza dello sviluppo tra i diversi Mondi che nella recente Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state apertamente denunciate. Il rispetto della persona umana va oltre la esigenza di una morale individuale e si pone come criterio basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla persona. Così, intimamente congiunta alla responsabilità di servire la persona, si pone la responsabilità di servire la società, quale compito generale di quella animazione cristiana dell'ordine temporale alla quale i fedeli laici sono chiamati secondo loro proprie e specifiche modalità. La famiglia, primo spazio per l'impegno sociale 40. La persona umana ha una nativa e strutturale dimensione sociale in quanto è chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri: «Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli»(144). E così la società, frutto e segno della socialità dell'uomo, rivela la sua piena verità nell'essere una comunità di persone. Si dà interdipendenza e reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a favore della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto ciò che viene compiuto a favore della società si risolve a beneficio della persona. Per questo l'impegno apostolico dei fedeli laici nell'ordine temporale riveste sempre e in modo inscindibile il significato del servizio all'uomo singolo nella sua unicità e irripetibilità e il significato del servizio a tutti gli uomini. Ora la prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e la famiglia: «Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio "uomo e donna li creò" (Gen 1, 27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone»(145). Gesù si è preoccupato di restituire alla coppia l'intera sua dignità e alla famiglia la saldezza sua propria (cf. Mt 19, 3-9); San Paolo ha mostrato il rapporto profondo del matrimonio con il mistero di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 22-6, 4; Col 3, 18-21; 1 Pt 3, 1-7). La coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli laici. E' un impegno che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e insostituibile della famiglia per lo sviluppo della società e della stessa Chiesa. Culla della vita e dell'amore, nella quale l'uomo «nasce» e «cresce», la famiglia è la cellula fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una privilegiata sollecitudine, soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano, le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa propria della famiglia. Urge così un'opera vasta, profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della «umanizzazione» della persona e della società. L'impegno apostolico dei fedeli laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista attiva e responsabile della propria crescita e della propria partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e dovrà esigere da tutti, a cominciare dalle autorità pubbliche, il rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società stessa. Quanto è scritto nell'Esortazione Familiaris consortio circa la partecipazione allo sviluppo della società(146) e quanto la Santa Sede, su invito del Sinodo dei Vescovi del 1980, ha formulato con la «Carta dei Diritti della Famiglia» rappresentano un programma operativo completo e organico per tutti quei fedeli laici che, a diverso titolo, sono interessati alla promozione dei valori e delle esigenze della famiglia: un programma la cui realizzazione è da urgere con tanta maggior tempestività e decisione quanto più gravi si fanno le minacce alla stabilità e alla fecondità della famiglia e quanto più pesante e sistematico si fa il tentativo di emarginare la famiglia e di vanificarne il peso sociale. Come l'esperienza attesta, la civiltà e la saldezza dei popoli dipendono soprattutto dalla qualità umana delle loro famiglie. Per questo l'impegno apostolico verso la famiglia acquista un incomparabile valore sociale. La Chiesa, da parte sua, ne è profondamente convinta, ben sapendo che «l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia»(147). La carità anima e sostegno della solidarietà 41. Il servizio alla società si esprime e si realizza in diversissime modalità: da quelle libere e informali a quelle istituzionali, dall'aiuto dato ai singoli a quello rivolto a vari gruppi e comunità di persone. Tutta la Chiesa come tale è direttamente chiamata al servizio della carità: «La santa Chiesa, come nelle sue origini unendo l'agape con la Cena Eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni genere, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore»(148). La carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il contenuto più immediato, comune e abituale di quell'animazione cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico dei fedeli laici. Con la carità verso il prossimo i fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che «non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45): essi vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile a tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità è il più alto dono che lo Spirito offre per l'edificazione della Chiesa (cf. 1 Cor 13, 13) e per il bene dell'umanità. La carità, infatti, anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano. Una simile carità, attuata non solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità, è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche, che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni _ spesso oggi così gravi e diffusi _ d'una popolazione. Paradossalmente tale carità si fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato. Proprio in questo contesto continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e di opere. Se vissuto nella sua verità di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il volontariato deve dirsi una espressione importante di apostolato, nel quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano. Tutti destinatari e protagonisti della politica 42. La carità che ama e serve la persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l'una e l'altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento effettivo dei diritti della persona, alla quale è ordinata la società con tutte le sue strutture ed istituzioni(149). Per animare cristianamente l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla «politica», ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico; come pure l'opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica. E', invece, quanto mai significativa la parola del Concilio Vaticano II: «La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità»(150). Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate: «La comunità politica _ leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes _ esiste proprio in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio. Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli uomini, le famiglie e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno della propria perfezione»(151). Inoltre, una politica per la persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella difesa e nella promozione della giustizia, intesa come «virtù» alla quale tutti devono essere educati e come «forza» morale che sostiene l'impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti e di ciascuno, sulla base della dignità personale dell'essere umano. Nell'esercizio del potere politico è fondamentale lo spirito di servizio, che solo, unitamente alla necessaria competenza ed efficienza, può rendere «trasparente» o «pulita» l'attività degli uomini politici, come del resto la gente giustamente esige. Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e alla menzogna, lo sperpero del pubblico denaro per il tornaconto di alcuni pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere. I fedeli laici impegnati nella politica devono certamente rispettare l'autonomia rettamente intesa delle realtà terrene, così come leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes: «E' di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana»(152). Nello stessotempo _ e questo è sentito oggi come urgenza e responsabilità _ i fedeli laici devono testimoniare quei valori umani ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita, l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Ciò esige che i fedeli laici siano sempre più animati da una reale partecipazione alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. In questo potranno essere accompagnati e aiutati dalla vicinanza delle comunità cristiane e dei loro Pastori(153). Stile e mezzo per il realizzarsi d'una politica che intenda mirare al vero sviluppo umano è la solidarietà: questa sollecita la partecipazione attiva e responsabile di tutti alla vita politica, dai singoli cittadini ai gruppi vari, dai sindacati ai partiti: insieme, tutti e ciascuno, siamo destinatari e protagonisti della politica. In questo ambito, come ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, la solidarietà «non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune:ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti»(154). La solidarietà politica esige oggi d'attuarsi secondo un orizzonte che, superando la singola nazione o il singolo blocco di nazioni, si configura come propriamente continentale e mondiale. Il frutto dell'attività politica solidale, da tutti tanto desiderato ma pur sempre tanto immaturo, è la pace. I fedeli laici non possono rimanere indifferenti, estranei e pigri di fronte a tutto ciò che è negazione e compromissione della pace: violenza e guerra, tortura e terrorismo, campi di concentramento, militarizzazione della politica, corsa agli armamenti, minaccia nucleare. Al contrario, come discepoli di Gesù Cristo «Principe della pace» (Is 9, 5) e «Nostra Pace» (Ef 2, 14), i fedeli laici devono assumersi il compito di essere «operatori di pace» (Mt 5, 9), sia mediante la conversione del «cuore», sia mediante l'azione a favore della verità, della libertà, della giustizia e della carità, che della pace sono gli irrinunciabili fondamenti(155). Collaborando con tutti coloro che cercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi e istituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono promuovere un'opera educativa capillare destinata a sconfiggere l'imperante cultura dell'egoismo, dell'odio, della vendetta e dell'inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni livello. Tale solidarietà, infatti, «è via alla pace e insieme allo sviluppo»(156). In questa prospettiva i Padri sinodali hanno invitato i cristiani a rifiutare forme inaccettabili di violenza, a promuovere atteggiamenti di dialogo e di pace e ad impegnarsi per instaurare un ordine sociale e internazionale giusto(157). Porre l'uomo al centro della vita economico-sociale 43. Il servizio alla società da parte dei fedeli laici trova un suo momento essenziale nella questione economico-sociale, la cui chiave è data dall'organizzazione del lavoro. La gravità attuale di tali problemi, colta nel panorama dello sviluppo e secondo la proposta di soluzione da parte della dottrina sociale della Chiesa, è stata ricordata recentemente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, alla quale desidero caldamente rimandare tutti, in particolare i fedeli laici. Tra i caposaldi della dottrina sociale della Chiesa sta il principio della destinazione universale dei beni: i beni della terra sono, nel disegno di Dio, offerti a tutti gli uomini e a ciascun uomo come mezzo per lo sviluppo d'una vita autenticamente umana. Al servizio di questa destinazione si pone la proprietà privata, la quale _ proprio per questo _ possiede un'intrinseca funzione sociale. Concretamente il lavoro dell'uomo e della donna rappresenta lo strumento più comune e più immediato per lo sviluppo della vita economica, strumento che insieme costituisce un diritto e un dovere d'ogni uomo. Tutto questo rientra in modo particolare nella missione dei fedeli laici. Il fine e il criterio della loro presenza e della loro azione sono formulati in termini generali dal Concilio Vaticano II: «Anche nella vita economico-sociale sono da onorare e da promuovere la dignità e l'integrale vocazione della persona umana come pure il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale»(158). Nel contesto delle sconvolgenti trasformazioni in atto nel mondo dell'economia e del lavoro, i fedeli laici siano impegnati in prima fila a risolvere i gravissimi problemi della crescente disoccupazione, a battersi per il superamento più tempestivo di numerose ingiustizie che derivano da distorte organizzazioni del lavoro, a far diventare il luogo di lavoro una comunità di persone rispettate nella loro soggettività e nel loro diritto alla partecipazione, a sviluppare nuove solidarietà tra coloro che partecipano al lavoro comune, a suscitare nuove forme di imprenditorialità e a rivedere i sistemi di commercio, di finanza e di scambi tecnologici. A tal fine i fedeli laici devono compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà umana, con spirito cristiano, come via della propria santificazione(159), secondo l'esplicito invito del Concilio: «Con il lavoro, l'uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth»(160). In rapporto alla vita economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto, la questione cosiddetta «ecologica». Certamente l'uomo ha da Dio stesso il compito di «dominare» le cose create e di «coltivare il giardino» del mondo; ma è un compito, questo, che l'uomo deve assolvere nel rispetto dell'immagine divina ricevuta, e quindi con intelligenza e con amore: egli deve sentirsi responsabile dei doni che Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L'uomo ha fra le mani un dono che deve passare _ e, se possibile, persino migliorato _ alle generazioni future, anch'esse destinatarie dei doni del Signore: «Il dominio accordato dal Creatore all'uomo (...) non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di "usare e abusare", o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto dell'albero" (cf. Gen 2, 16-17), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile (...), siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni _ relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata _, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo»(161). Evangelizzare la cultura e le culture dell'uomo 44. Il servizio alla persona e alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e la trasmissione della cultura, che, specialmente ai nostri giorni, costituisce uno dei più gravi compiti della convivenza umana e dell'evoluzione sociale. Alla luce del Concilio, intendiamo per «cultura» tutti quei «mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andare del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano»(162). In questo senso, la cultura deve ritenersi come il bene comune di ciascun popolo, l'espressione della sua dignità, libertà e creatività; la testimonianza del suo cammino storico. In particolare, solo all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e creatrice di storia. Di fronte allo sviluppo di una cultura che si configura dissociata non solo dalla fede cristiana, ma persino dagli stessi valori umani(163); come pure di fronte ad una certa cultura scientifica e tecnologica impotente nel dare risposta alla pressante domanda di verità e di bene che brucia nel cuore degli uomini, la Chiesa è pienamente consapevole dell'urgenza pastorale che alla cultura venga riservata un'attenzione del tutto speciale. Per questo la Chiesa sollecita i fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali sono il mondo della scuola e dell'università, gli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al riconoscimento e all'eventuale purificazione degli elementi della cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana. Quanto il Concilio Vaticano II scrive circa il rapporto tra il Vangelo e la cultura rappresenta un fatto storico costante ed insieme un ideale operativo di singolare attualità e urgenza; è un programma impegnativo consegnato alla responsabilità pastorale dell'intera Chiesa e in essa alla responsabilità specifica dei fedeli laici: «La buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli (...). In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore»(164). Meritano di essere qui riascoltate alcune espressioni particolarmente significative della Esortazione Evangelii nuntiandi di Paolo VI: «La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama (cf. Rom 1, 16; 1 Cor 1, 18; 2, 4), cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri. Strati dell'umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare _ non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici _ la cultura e le culture dell'uomo (...). La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture»(165). La via attualmente privilegiata per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli strumenti della comunicazione sociale(166). Anche il mondo dei mass-media, in seguito all'accelerato sviluppo innovativo e all'influsso insieme planetario e capillare sulla formazione della mentalità e del costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa. In particolare, la responsabilità professionale dei fedeli laici in questo campo, esercitata sia a titolo personale sia mediante iniziative ed istituzioni comunitarie, esige di essere riconosciuta in tutto il suo valore e sostenuta con più adeguate risorse materiali, intellettuali e pastorali. Nell'impiego e nella recezione degli strumenti di comunicazione urgono sia un'opera educativa al senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un'opera di difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale, dell'elevazione dell'autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto fermo e coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di manipolazione. Né a quest'opera di difesa si ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le strade del mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema, della radio, della televisione e del teatro, dev'essere annunciato il Vangelo che salva.
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Capitolo IV GLI OPERAI DELLA VIGNA DEL SIGNORE Buoni amministratori della multiforme grazia di Dio La varietà delle vocazioni 45. Secondo la parabola evangelica, il «padrone di casa» chiama gli operai alla sua vigna nelle diverse ore della giornata: alcuni all'alba, altri verso le nove del mattino, altri ancora verso mezzogiorno e le tre, gli ultimi verso le cinque (cf. Mt 20, 1 ss.). Nel commento a questa pagina del Vangelo, San Gregorio Magno interpreta le ore diverse della chiamata rapportandole alle età della vita: «E' possibile applicare la diversità delle ore _ egli scrive _ alle diverse età dell'uomo. Il mattino può certo rappresentare, in questa nostra interpretazione, la fanciullezza. L'ora terza, poi, si può intendere come l'adolescenza: il sole si muove verso l'alto del cielo, cioè cresce l'ardore dell'età. La sesta ora è la giovinezza: il sole sta come nel mezzo del cielo, ossia in quest'età si rafforza la pienezza del vigore. L'anzianità rappresenta l'ora nona, perché come il sole declina dal suo alto asse così quest'età comincia a perdere l'ardore della giovinezza. L'undicesima ora è l'età di quelli molto avanzati negli anni (...). Gli operai sono, dunque, chiamati alla vigna in diverse ore, come per dire che alla vita santa uno è condotto durante la fanciullezza, un altro nella giovinezza, un altro nell'anzianità e un altro nell'età più avanzata»(167). Possiamo riprendere ed estendere il commento di San Gregorio Magno in rapporto alla straordinaria varietà di presenze nella Chiesa, tutte e ciascuna chiamate a lavorare per l'avvento del Regno di Dio secondo la diversità di vocazioni e situazioni, carismi e ministeri. E' una varietà legata non solo all'età, ma anche alla differenza di sesso e alla diversità delle doti, come pure alle vocazioni e alle condizioni di vita; è una varietà che rende più viva e concreta la ricchezza della Chiesa. Giovani, bambini, anziani I giovani, speranza della Chiesa 46. Il Sinodo ha voluto riservare un'attenzione particolare ai giovani. E giustamente. In tanti paesi del mondo, essi rappresentano la metà dell'intera popolazione e, spesso, la metà numerica dello stesso Popolo di Dio che in quei paesi vive. Già sotto questo aspetto i giovani costituiscono una forza eccezionale e sono una grande sfida per l'avvenire della Chiesa. Nei giovani, infatti, la Chiesa legge il suo camminare verso il futuro che l'attende e trova l'immagine e il richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo costantemente l'arricchisce. In questo senso il Concilio ha definito i giovani «speranza della Chiesa»(168).Nella lettera scritta ai giovani e alle giovani del mondo, il 31 marzo 1985, leggiamo: «La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare testimonianza: "Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre (...). Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi" (1 Gv 2, 13 ss.) (...). Nella nostra generazione, al termine del secondo Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani»(169). I giovani non devono essere considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale(170). La giovinezza è il tempo di una scoperta particolarmente intensa del proprio «io» e del proprio «progetto di vita», è il tempo di una crescita che deve avvenire «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52). Come hanno detto i Padri sinodali, «la sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della giustizia, della non violenza e della pace. Il loro cuore è aperto alla fraternità, alla amicizia e alla solidarietà. Sono mobilitati al massimo per le cause che riguardano la qualità della vita e la conservazione della natura. Ma essi sono anche carichi di inquietudini, di delusioni, di angosce e paure del mondo, oltre che delle tentazioni proprie del loro stato»(171). La Chiesa deve rivivere l'amore di predilezione che Gesù ha testimoniato al giovane del Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10, 21). Per questo la Chiesa non si stanca di annunciare Gesù Cristo, di proclamare il suo Vangelo come l'unica e sovrabbondante risposta alle più radicali aspirazioni dei giovani, come la proposta forte ed esaltante di una sequela personale («vieni e seguimi» [Mc 10, 21]), che comporta la condivisione all'amore filiale di Gesù per il Padre e la partecipazione alla sua missione di salvezza per l'umanità. La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e coraggio, favorirà l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società civile. Nel suo messaggio ai giovani il Concilio dice: «La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore (...). Essa è la vera giovinezza del mondo (...), guardatela e troverete in lei il volto di Cristo»(172). I bambini e il regno dei cieli 47. I bambini sono certamente il termine dell'amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il regno dei cieli (cf. Mt 19, 13-15; Mc 10, 14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me» (Mt 18, 3-5; cf. Lc 9, 48). I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della Croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l'intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell'età dell'infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l'edificazione della Chiesa che per l'umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all'interno della famiglia «chiesa domestica»: «I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori»(173) dev'essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del xv secolo, per il quale «i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa»(174). Gli anziani e il dono della sapienza 48. Alle persone anziane, spesso ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d'insopportabile peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende che esse abbiano a continuare la loro missione apostolica e missionaria, non solo possibile e doverosa anche a quest'età, ma da questa stessa età resa in qualche modo specifica e originale. La Bibbia ama presentare l'anziano come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di Dio (cf. Sir 25, 4-6). In questo senso il «dono» dell'anziano potrebbe qualificarsi come quello di essere, nella Chiesa e nella società, il testimone della tradizione di fede (cf. Sal 44, 2; Es 12, 26-27), il maestro di vita (cf. Sir 6, 34; 8, 11-12), l'operatore di carità. Ora l'aumentato numero di persone anziane in diversi paesi del mondo e la cessazione anticipata dell'attività professionale e lavorativa aprono uno spazio nuovo al compito apostolico degli anziani: è un compito da assumersi superando con decisione la tentazione di rifugiarsi nostalgicamente in un passato che non ritorna più o di rifuggire da un impegno presente per le difficoltà incontrate in un mondo dalle continue novità; e prendendo sempre più chiara coscienza che il proprio ruolo nella Chiesa e nella società non conosce affatto soste dovute all'età, bensì conosce solo modi nuovi. Come dice il salmista: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore» (Sal 92, 15-16). Ripeto quanto ho detto durante la celebrazione del Giubileo degli Anziani: «L'ingresso nella terza età è da considerarsi un privilegio: non solo perché non tutti hanno la fortuna di raggiungere questo traguardo, ma anche e soprattutto perché questo è il periodo delle possibilità concrete di riconsiderare meglio il passato, di conoscere e di vivere più profondamente il mistero pasquale, di divenire esempio nella Chiesa a tutto il Popolo di Dio (...). Nonostante la complessità dei vostri problemi da risolvere, le forze che progressivamente si affievoliscono, e malgrado le insufficienze delle organizzazioni sociali, i ritardi della legislazione ufficiale, le incomprensioni di una società egoistica, voi non siete né dovete sentirvi ai margini della vita della Chiesa, elementi passivi di un mondo in eccesso di movimento, ma soggetti attivi di un periodo umanamente e spiritualmente fecondo dell'esistenza umana. Avete ancora una missione da compiere, un contributo da dare. Secondo il progetto divino ogni singolo essere umano è una vita in crescita, dalla prima scintilla dell'esistenza fino all'ultimo respiro»(175). Donne e uomini 49. I Padri sinodali hanno riservato una speciale attenzione alla condizione e al ruolo della donna, secondo un duplice intento: riconoscere e invitare a riconoscere, da parte di tutti ed ancora una volta, l'indispensabile contributo della donna all'edificazione della Chiesa e allo sviluppo della società; operare, inoltre, un'analisi più specifica circa la partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa. Riferendosi a Giovanni XXIII, che vide nella coscienza femminile della propria dignità e nell'ingresso delle donne nella vita pubblica un segno dei nostri tempi(176), i Padri del Sinodo hanno affermato ripetutamente e fortemente, di fronte alle forme più varie di discriminazioni e di emarginazioni alle quali soggiace la donna a motivo del suo semplice essere donna, l'urgenza di difendere e di promuovere la dignità personale della donna, e quindi la sua eguaglianza con l'uomo. Se di tutti nella Chiesa e nella società è questo compito, lo è in particolare delle donne, che si devono sentire impegnate come protagoniste in prima linea. C'è ancora tanto sforzo da compiere, in più parti del mondo e in diversi ambiti, perché sia distrutta quella ingiusta e deleteria mentalità che considera l'essere umano come una cosa, come un oggetto di compra-vendita, come uno strumento dell'interesse egoistico o del solo piacere, tanto più che di tale mentalità la prima vittima è proprio la donna stessa. Al contrario, solo l'aperto riconoscimento della dignità personale della donna costituisce il primo passo da compiere per promuoverne la piena partecipazione sia alla vita ecclesiale che a quella sociale e pubblica. Si deve dare risposta più ampia e decisiva alla richiesta fatta dall'Esortazione Familiaris consortio circa le molteplici discriminazioni delle quali le donne sono vittime: «che da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più vigorosa e incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in tutti gli esseri umani, nessuno escluso»(177). Nella stessa linea i Padri sinodali hanno affermato: «La Chiesa, come espressione della sua missione, deve opporsi con fermezza contro tutte le forme di discriminazione e di abuso delle donne»(178). E ancora: «La dignità della donna, gravemente ferita nell'opinione pubblica, dev'essere ricuperata per mezzo dell'effettivo rispetto dei diritti della persona umana e per mezzo della pratica della dottrina della Chiesa»(179). In particolare, circa la partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della Chiesa, è da rilevarsi come già il Concilio Vaticano II sia stato oltre modo esplicito nel sollecitarla: «Poiché ai nostri giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita della società, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell'apostolato della Chiesa»(180). La coscienza che la donna, con i doni e i compiti propri, ha una sua specifica vocazione è andata crescendo e approfondendosi nel periodo post-conciliare, ritrovando la sua ispirazione più originale nel Vangelo e nella storia della Chiesa. Per il credente, infatti, il Vangelo, ossia la parola e l'esempio di Gesù Cristo, rimane il punto di riferimento necessario e decisivo: ed è quanto mai fecondo ed innovativo anche per l'attuale momento storico. Pur non chiamate all'apostolato proprio dei Dodici, e quindi al sacerdozio ministeriale, molte donne accompagnano Gesù nel suo ministero e assistono il gruppo degli Apostoli (cf. Lc 8, 2-3); sono presenti sotto la Croce (cf. Lc 23, 49); assistono alla sepoltura di Gesù (cf. Lc 23, 55) e il mattino di Pasqua ricevono e trasmettono l'annuncio della risurrezione (cf. Lc 24, 1-10); pregano con gli Apostoli nel Cenacolo nell'attesa della Pentecoste (cf. At 1, 14). Nella scia del Vangelo, la Chiesa delle origini si distacca dalla cultura del tempo e chiama la donna a compiti connessi con l'evangelizzazione. Nelle sue Lettere l'apostolo Paolo ricorda, anche per nome, numerose donne per le loro varie funzioni all'interno e al servizio delle prime comunità ecclesiali (cf. Rom 16, 1-15; Fil 4, 2-3; Col 4, 15 e 1 Cor 11, 5; 1 Tim 5, 16). «Se la testimonianza degli Apostoli fonda la Chiesa _ ha detto Paolo VI _, quella delle donne contribuisce grandemente a nutrire la fede delle comunità cristiane»(181). E come alle origini, così nello sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno esercitato un ruolo talvolta decisivo e svolto compiti di valore considerevole per la Chiesa stessa. E' una storia d'immensa operosità, il più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva per la crescita e per la santità della Chiesa. E' necessario che questa storia sia continuata, anzi che si allarghi e si intensifichi di fronte all'accresciuta e universalizzata consapevolezza della dignità personale della donna e della sua vocazione, nonché di fronte all'urgenza di una «nuova evangelizzazione» e di una maggiore «umanizzazione» delle relazioni sociali. Raccogliendo la consegna del Concilio Vaticano II, nella quale si specchia il messaggio del Vangelo e della storia della Chiesa, i Padri del Sinodo hanno formulato, tra le altre, questa precisa «raccomandazione»: «E' necessario che la Chiesa, per la sua vita e la sua missione, riconosca tutti i doni delle donne e degli uomini e li traduca in pratica»(182). E ancora: «Questo Sinodo proclama che la Chiesa esige il riconoscimento e l'utilizzazione di tutti questi doni, esperienze e attitudini degli uomini e delle donne perché la sua missione risulti più efficace (cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Instructio de libertate christiana et liberatione, 72)»(183). Fondamenti antropologici e teologici 50. La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarietà con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale. I Padri sinodali hanno sentito vivamente questa esigenza affermando che «i fondamenti antropologici e teologici hanno bisogno di studi approfonditi per la risoluzione dei problemi relativi al vero significato e alla dignità di ambedue i sessi»(184). Impegnandosi nella riflessione sui fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile, la Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di promozione della donna e, scendendo alle radici stesse dell'essere personale della donna, vi apporta il suo contributo più prezioso. Ma prima e più ancora la Chiesa intende, in tal modo, obbedire a Dio che, creando l'uomo «a sua immagine», «maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27); così come intende accogliere la chiamata di Dio a conoscere, ad ammirare e a vivere il suo disegno. E' un disegno che «al principio» è stato indelebilmente impresso nello stesso essere della persona umana _ uomo e donna _ e, pertanto, nelle sue strutture significative e nei suoi profondi dinamismi. Proprio questo disegno, sapientissimo e amoroso, chiede di essere esplorato in tutta la ricchezza del suo contenuto: è la ricchezza che dal «principio» si è venuta poi progressivamente manifestando e attuando lungo l'intera storia della salvezza, ed è culminata nella «pienezza del tempo», allorquando «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4). Quella «pienezza» continua nella storia: la lettura del disegno di Dio sulla donna è incessantemente operata e da operarsi nella fede della Chiesa, anche grazie alla vita vissuta di tante donne cristiane. Senza dimenticare l'aiuto che può venire dalle diverse scienze umane e dalle varie culture: queste, grazie ad un illuminato discernimento, potranno aiutare a cogliere e a precisare i valori e le esigenze che appartengono all'essenza perenne della donna e quelli legati all'evolversi storico delle culture stesse. Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, «la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano: esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cf. Ebr 13, 8)»(185). Sui fondamenti antropologici e teologici della dignità personale della donna si sofferma la Lettera Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna. Il documento, che riprende, prosegue e specifica le riflessioni della catechesi del mercoledì dedicata per lungo tempo alla «teologia del corpo», vuole essere insieme l'adempimento di una promessa fatta nell'Enciclica Redemptoris Mater(186) e la risposta alla richiesta dei Padri sinodali. La lettura della Lettera Mulieris dignitatem, anche per il suo carattere di meditazione biblicoteologica, potrà stimolare tutti, uomini e donne, e in particolare i cultori delle scienze umane e delle discipline teologiche, a proseguire nello studio critico così da approfondire sempre meglio, sulla base della dignità personale dell'uomo e della donna e della loro reciproca relazione, i valori ed i doni specifici della femminilità e della mascolinità, non solo nell'ambito del vivere sociale ma anche e soprattutto in quello dell'esistenza cristiana ed ecclesiale. La meditazione sui fondamenti antropologici e teologici della donna deve illuminare e guidare la risposta cristiana alla domanda così frequente, e talvolta così acuta, circa lo «spazio» che la donna può e deve avere nella Chiesa e nella società. Dalla parola e dall'atteggiamento di Cristo, che sono normativi per la Chiesa, risulta con grande chiarezza che nessuna discriminazione esiste sul piano del rapporto con Cristo, nel quale «non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28) e sul piano della partecipazione alla vita e alla santità della Chiesa, come splendidamente attesta la profezia di Gioele realizzatasi con la Pentecoste: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3, 1; cf. At 2, 17 ss.). Come si legge nella Lettera Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna, «tutt'e due _ la donna come l'uomo _ (...) sono suscettibili in eguale misura dell'elargizione della verità divina e dell'amore nello Spirito Santo. Ambedue accolgono le sue "visite" salvifiche e santificanti»(187). Missione nella Chiesa e nel mondo 51. Circa poi la partecipazione alla missione apostolica della Chiesa, non c'è dubbio che, in forza del Battesimo e della Cresima, la donna _ come l'uomo _ è resa partecipe del triplice ufficio di Gesù Cristo Sacerdote, Profeta, Re, e quindi è abilitata e impegnata all'apostolato fondamentale della Chiesa: l'evangelizzazione. D'altre parte, proprio nel compimento di questo apostolato, la donna è chiamata a mettere in opera i suoi «doni» propri: anzitutto, il dono che è la sua stessa dignità personale, mediante la parola e la testimonianza di vita; i doni, poi, connessi con la sua vocazione femminile .Nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa la donna non può ricevere il sacramento dell'Ordine e, pertanto, non può compiere le funzioni proprie del sacerdozio ministeriale. E' questa una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana, di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli(188); una disposizione che può trovare luce nel rapporto tra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa(189). Siamo nell'ambito della funzione, non della dignità e della santità. Si deve, in realtà, affermare: «Anche se la Chiesa possiede una struttura "gerarchica", tuttavia tale struttura è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo»(190). Ma, come già diceva Paolo VI, se «noi non possiamo cambiare il comportamento di nostro Signore né la chiamata da Lui rivolta alle donne, però dobbiamo riconoscere e promuovere il ruolo delle donne nella missione evangelizzatrice e nella vita della comunità cristiana»(191). E' del tutto necessario passare dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. E in questo preciso senso deve leggersi la presente Esortazione che si rivolge ai fedeli laici, con la deliberata e ripetuta specificazione «uomini e donne». Inoltre il nuovo Codice di Diritto Canonico contiene molteplici disposizioni sulla partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse sensibilità culturali e opportunità pastorali, attuate con maggiore tempestività e risoluzione. Si pensi, ad esempio, alla partecipazione delle donne ai Consigli pastorali diocesani e parrocchiali, come pure ai Sinodi diocesani e ai Concili particolari. In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: «Le donne partecipino alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle consultazioni e nell'elaborazione di decisioni»(192). E ancora: «Le donne, le quali hanno già una grande importanza nella trasmissione della fede e nel prestare servizi di ogni genere nella vita della Chiesa, devono essere associate alla preparazione dei documenti pastorali e delle iniziative missionarie e devono essere riconosciute come cooperatrici della missione della Chiesa nella famiglia, nella professione e nella comunità civile»(193). Nell'ambito più specifico dell'evangelizzazione e della catechesi è da promuovere con più forza il compito particolare che la donna ha nella trasmissione della fede, non solo nella famiglia ma anche nei più diversi luoghi educativi e, in termini più ampi, in tutto ciò che riguarda l'accoglienza della Parola di Dio, la sua comprensione e la sua comunicazione, anche mediante lo studio, la ricerca e la docenza teologica. Mentre adempirà il suo impegno di evangelizzazione, la donna sentirà più vivo il bisogno di essere evangelizzata. Così, con gli occhi illuminati dalla fede (cf. Ef 1, 18), la donna potrà distinguere ciò che veramente risponde alla sua dignità personale e alla sua vocazione da tutto ciò che, magari sotto il pretesto di questa «dignità» e nel nome della «libertà» e del «progresso», fa sì che la donna non serva al consolidamento dei veri valori ma, al contrario, diventi responsabile del degrado morale delle persone, degli ambienti e della società. Operare un simile «discernimento» è un'urgenza storica indilazionabile e, nello stesso tempo, è una possibilità e un'esigenza che derivano dalla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua Chiesa da parte della donna cristiana. Il «discernimento», di cui parla più volte l'apostolo Paolo, non è solo valutazione delle realtà e degli avvenimenti alla luce della fede; è anche decisione concreta e impegno operativo, non solo nell'ambito della Chiesa ma anche in quello della società umana. Si può dire che tutti i problemi del mondo contemporaneo, di cui già parlava la seconda parte della Costituzione conciliare Gaudium et spes e che il tempo non ha affatto né risolto né attutito, devono vedere le donne presenti e impegnate, e precisamente con il loro contributo tipico e insostituibile. In particolare, due grandi compiti affidati alla donna meritano di essere riproposti all'attenzione di tutti. Il compito, anzitutto, di dare piena dignità alla vita matrimoniale e alla maternità. Nuove possibilità si aprono oggi alla donna per una comprensione più profonda e per una realizzazione più ricca dei valori umani e cristiani implicati nella vita coniugale e nell'esperienza della maternità: l'uomo stesso _ il marito e il padre _ può superare forme di assenteismo o di presenza episodica e parziale, anzi può coinvolgersi in nuove e significative relazioni di comunione interpersonale, proprio grazie all'intervento intelligente, amorevole e decisivo della donna. Il compito, poi, di assicurare la dimensione morale della cultura, la dimensione cioè di una cultura degna dell'uomo, della sua vita personale e sociale. Il Concilio Vaticano II sembra collegare la dimensione morale della cultura con la partecipazione dei laici alla missione regale di Cristo: «I laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell'uomo»(194). Man mano che la donna partecipa attivamente e responsabilmente alla funzione delle istituzioni, dalle quali dipende la salvaguardia del primato dovuto ai valori umani nella vita delle comunità politiche, le parole del Concilio ora citate indicano un importante campo d'apostolato della donna: in tutte le dimensioni della vita di queste comunità, dalla dimensione socio-economica a quella socio-politica, devono essere rispettate e promosse la dignità personale della donna e la sua specifica vocazione: nell'ambito non solo individuale ma anche comunitario, non solo in forme lasciate alla libertà responsabile delle persone ma anche in forme garantite da leggi civili giuste. «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto a lui simile» (Gen 2, 18). Alla donna Dio Creatore ha affidato l'uomo. Certo, l'uomo è stato affidato ad ogni uomo, ma in modo particolare alla donna, perché proprio la donna sembra avere una specifica sensibilità, grazie alla speciale esperienza della sua maternità, per l'uomo e per tutto ciò che costituisce il suo vero bene, a cominciare dal fondamentale valore della vita. Quanto grandi sono le possibilità e le responsabilità della donna in questo campo, in un tempo nel quale lo sviluppo della scienza e della tecnica non è sempre ispirato e misurato dalla vera sapienza, con l'inevitabile rischio di «disumanizzare» la vita umana, soprattutto quando essa esigerebbe amore più intenso e più generosa accoglienza. La partecipazione della donna alla vita della Chiesa e della società, mediante i suoi doni, costituisce insieme la strada necessaria per la sua realizzazione personale _ sulla quale oggi giustamente tanto si insiste _ e il contributo originale della donna all'arricchimento della comunione ecclesiale e al dinamismo apostolico del Popolo di Dio. In questa prospettiva si deve considerare la presenza anche dell'uomo, insieme alla donna. Compresenza e collaborazione degli uomini e delle donne 52. Non è mancata nell'aula sinodale la voce di quanti hanno espresso il timore che un'eccessiva insistenza portata sulla condizione e sul ruolo delle donne potesse sfociare in un'inaccettabile dimenticanza: quella, appunto, riguardante gli uomini. In realtà diverse situazioni ecclesiali devono lamentare l'assenza o la troppo scarsa presenza degli uomini, una parte dei quali abdica alle proprie responsabilità ecclesiali, lasciando che siano assolte soltanto dalle donne: così, ad esempio, la partecipazione alla preghiera liturgica in Chiesa, l'educazione e in particolare la catechesi ai propri figli e ad altri fanciulli, la presenza ad incontri religiosi e culturali, la collaborazione ad iniziative caritative e missionarie. E' allora da urgere pastoralmente la presenza coordinata degli uomini e delle donne perché sia resa più completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla missione salvifica della Chiesa. La ragione fondamentale che esige e spiega la compresenza e la collaborazione degli uomini e delle donne non è solo, come ora si è rilevato, la maggiore significatività ed efficacia dell'azione pastorale della Chiesa; né, tanto meno, il semplice dato sociologico di una convivenza umana che è naturalmente fatta di uomini e di donne. E', piuttosto, il disegno originario del Creatore che dal «principio» ha voluto l'essere umano come «unità dei due», ha voluto l'uomo e la donna come prima comunità di persone, radice di ogni altra comunità, e, nello stesso tempo, come «segno» di quella comunione interpersonale d'amore che costituisce la misteriosa vita intima di Dio Uno e Trino. Proprio per questo il modo più comune e capillare, e nello stesso tempo fondamentale, per assicurare questa presenza coordinata e armonica di uomini e di donne nella vita e nella missione della Chiesa, è l'esercizio dei compiti e delle responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, nel quale traspare e si comunica la varietà delle diverse forme di amore e di vita: la forma coniugale, paterna e materna, filiale e fraterna. Leggiamo nell'Esortazione Familiaris consortio: «Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo (...). La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita: è allora nell'amore coniugale e familiare _ vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità _ che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa»(195). Situandosi in questa prospettiva, i Padri sinodali hanno ricordato il significato che il sacramento del Matrimonio deve assumere nella Chiesa e nella società per illuminare e ispirare tutte le relazioni tra l'uomo e la donna. In tal senso hanno ribadito «l'urgente necessità che ciascun cristiano viva e annunci il messaggio di speranza contenuto nella relazione tra l'uomo e la donna Il sacramento del Matrimonio, che consacra questa relazione nella sua forma coniugale e la rivela come segno della relazione di Cristo con la sua Chiesa, contiene un insegnamento di grande importanza per la vita della Chiesa; questo insegnamento deve arrivare per mezzo della Chiesa al mondo di oggi; tutte le relazioni tra l'uomo e la donna debbono ispirarsi a questo spirito. La Chiesa deve utilizzare queste ricchezze ancora più pienamente»(196). Gli stessi Padri hanno giustamente rilevato che «la stima della verginità e il rispetto della maternità debbono ambedue essere ricuperate»(197): ancora una volta per lo sviluppo di vocazioni diverse e complementari nel contesto vivo della comunione ecclesiale e al servizio della sua continua crescita. Malati e sofferenti 53. L'uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di sofferenza e di dolore i Padri sinodali si sono rivolti nel loro finale Messaggio con queste parole: «Voi abbandonati ed emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati, handicappati, poveri, affamati, emigranti, profughi, prigionieri, disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime della guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società permissiva. La Chiesa partecipa alla vostra sofferenza conducente al Signore, che vi associa alla sua Passione redentrice e vi fa vivere alla luce della sua Redenzione. Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cosa è l'amore. Faremo tutto il possibile perché troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella Chiesa»(198). Nel contesto di un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più comune del soffrire umano. A tutti e a ciascuno è rivolto l'appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell'anima, lungi dal distoglierli dal lavorare nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole dell'apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: «Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Proprio facendo questa scoperta, l'apostolo è approdato alla gioia: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi» (Col 1, 24). Similmente molti malati possono diventare portatori della «gioia dello Spirito Santo in molte tribolazioni» (1 Tess 1, 6) ed essere testimoni della Risurrezione di Gesù. Come ha espresso un handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in situazioni di malattia, di dolore e di vecchiaia, non sono invitati da Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la Passione di Cristo, ma anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la gioia di Cristo risuscitato (cf. 2 Cor 4, 10-11; 1 Pt 4, 13; Rm 8, 18 ss.)»(199). Da parte sua _ come si legge nella Lettera Apostolica Salvifici doloris _ «la Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo "diventa la via della Chiesa", ed è, questa, una delle vie più importanti»(200). Ora l'uomo sofferente è via della Chiesa perché egli è, anzitutto, via di Cristo stesso, il buon Samaritano che «non passa oltre», ma «ne ha compassione, si fa vicino (...) gli fascia le ferite (...) si prende cura di lui» (Lc 10, 32-34). La comunità cristiana ha ritrascritto, di secolo in secolo nell'immensa moltitudine delle persone malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon Samaritano, rivelando e comunicando l'amore di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli ammalati e mediante l'infaticabile impegno di tutti gli operatori sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati e i sofferenti. Azione pastorale rinnovata 54. E' necessario che questa preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo «medico di carne e di spirito»(201), non solo non venga mai meno, ma sia sempre più valorizzata e arricchita attraverso una ripresa e un rilancio deciso di un'azione pastorale per e con i malati e i sofferenti. Dev'essere un'azione capace di sostenere e di promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo, condivisione e aiuto concreto verso l'uomo nei momenti nei quali, a causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e per gli ammalati, come fortezza nel dolore e nella debolezza, come speranza nella disperazione, come luogo d'incontro e di festa. Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può non coinvolgere e in modo coordinato tutte le componenti della comunità ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicemente come termine dell'amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell'opera di evangelizzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa ha una buona novella da far risuonare all'interno di società e di culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano, «censurano» ogni discorso su tale dura realtà della vita. E la buona novella sta nell'annuncio che il soffrire può avere anche un significato positivo per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa. L'annuncio di questa buona novella diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra, ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa. Di grande utilità perché «la civiltà dell'amore» possa fiorire e fruttificare nell'immenso mondo del dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della Lettera Apostolica Salvifici doloris, di cui ricordiamo ora le righe conclusive: «Occorre pertanto, che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui Crocifisso e Risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l'unità di tutti (cf. Gv 17, 11. 21-22). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il "Redentore dell'uomo", l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (cf. Gv 19, 25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi (...). E chiediamo a tutti voi, che soffrite, di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!»(202). Stati di vita e vocazioni 55. Operai della vigna sono tutti i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione della Chiesa e della partecipazione alla sua missione di salvezza. Tutti e ciascuno lavoriamo nell'unica e comune vigna del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari. Già sul piano dell'essere, prima ancora che su quello dell'agire, i cristiani sono tralci dell'unica feconda vite che è Cristo, sono membra vive dell'unico Corpo del Signore edificato nella forza dello Spirito. Sul piano dell'essere: non significa solo mediante la vita di grazia e di santità, che è la prima e più rigogliosa sorgente della fecondità apostolica e missionaria della santa Madre Chiesa; ma significa anche mediante lo stato di vita che caratterizza i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, i membri degli istituti secolari, i fedeli laici. Nella Chiesa-Comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l'uno all'altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l'eguale dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella perfezione dell'amore. Sono modalità insieme diverse e complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si pone in relazione alle altre e al loro servizio. Così lo stato di vita laicale ha nell'indole secolare la sua specificità e realizza un servizio ecclesiale nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato che le realtà terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il sacerdozio ministeriale rappresenta la permanente garanzia della presenza sacramentale, nei diversi tempi e luoghi, di Cristo Redentore. Lo stato religioso testimonia l'indole escatologica della Chiesa, ossia la sua tensione verso il Regno di Dio, che viene prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti di castità, povertà e obbedienza. Tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al servizio della crescita della Chiesa, sono modalità diverse che si unificano profondamente nel «mistero di comunione» della Chiesa e che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione. In tal modo, l'unico e identico mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversità degli stati di vita e nella varietà delle vocazioni, l'infinita ricchezza del mistero di Gesù Cristo. Come amano ripetere i Padri, la Chiesa è come un campo dall'affascinante e meravigliosa varietà di erbe, piante, fiori e frutti. Sant'Ambrogio scrive: «Un campo produce molti frutti, ma migliore è quello che abbonda di frutti e di fiori. Orbene, il campo della santa Chiesa è fecondo degli uni e degli altri. Qui puoi vedere le gemme della verginità metter fiori, là la vedovanza dominare austera come le foreste nella pianura; altrove la ricca mietitura delle nozze benedette dalla Chiesa riempire i grandi granai del mondo di messe abbondante, e i torchi del Signore Gesù ridondare come di frutti di vite rigogliosa, frutti dei quali sono ricche le nozze cristiane»(203). Le varie vocazioni laicali 56. La ricca varietà della Chiesa trova una sua ulteriore manifestazione all'interno di ciascun stato di vita. Così entro lo stato di vita laicale si danno diverse «vocazioni», ossia diversi cammini spirituali e apostolici che riguardano i singoli fedeli laici. Nell'alveo d'una vocazione laicale «comune» fioriscono vocazioni laicali «particolari». In questo ambito possiamo ricordare anche l'esperienza spirituale che è maturata recentemente nella Chiesa con il fiorire di diverse forme di Istituti secolari: ai fedeli laici, ma anche agli stessi sacerdoti, è aperta la possibilità di professare i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza per mezzo dei voti o delle promesse, conservando pienamente la propria condizione laicale o clericale(204). Come hanno rilevato i Padri sinodali, «lo Spirito Santo suscita anche altre forme di offerta di se stessi cui si dedicano persone che rimangono pienamente nella vita laicale»(205). Possiamo concludere rileggendo una bella pagina di San Francesco di Sales, che tanto ha promosso la spiritualità dei laici(206). Parlando della «devozione», ossia della perfezione cristiana o «vita secondo lo Spirito», egli presenta in una maniera semplice e splendida la vocazione di tutti i cristiani alla santità e nello stesso tempo la forma specifica con cui i singoli cristiani la realizzano: «Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna "secondo la propria specie" (Gen 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona (...). E' un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma, oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò, dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta»(207). Ponendosi nella stessa linea il Concilio Vaticano II scrive: «Questo comportamento spirituale dei laici deve assumere una peculiare caratteristica dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione di infermità, dall'attività professionale e sociale. Non tralascino, dunque, di coltivare costantemente le qualità e le doti ad essi conferite corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo»(208). Ciò che vale delle vocazioni spirituali vale anche, e in un certo senso a maggior ragione, delle infinite varie modalità secondo cui tutti e singoli i membri della Chiesa sono operai che lavorano nella vigna del Signore, edificando il Corpo mistico di Cristo. Veramente ciascuno è chiamato per nome, nell'unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare il suo proprio contributo per l'avvento del Regno di Dio. Nessun talento, neppure il più piccolo, può essere nascosto e lasciato inutilizzato (cf. Mt 25, 24-27). L'apostolo Pietro ci ammonisce: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10). |
Capitolo V PERCHÉ PORTIATE PIÙ FRUTTO La formazione dei fedeli laici Maturare in continuità 57. L'immagine evangelica della vite e dei tralci ci rivela un altro aspetto fondamentale della vita e della missione dei fedeli laici: la chiamata a crescere, a maturare in continuità, a portare sempre più frutto. Come solerte vignaiolo, il Padre si prende cura della sua vigna. La presenza premurosa di Dio è ardentemente invocata da Israele, che così prega: «Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei coltivato» (Sal 80, 15-16). Gesù stesso parla dell'opera del Padre: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-2). La vitalità dei tralci è legata al loro rimanere radicati nella vite, che è Cristo Gesù: «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). L'uomo è interpellato nella sua libertà dalla chiamata di Dio a crescere, a maturare, a portare frutto. Non può non rispondere, non può non assumersi la sua personale responsabilità. E' a questa responsabilità, tremenda ed esaltante, che alludono le gravi parole di Gesù: «Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano» (Gv 15, 6). In questo dialogo tra Dio che chiama e la persona interpellata nella sua responsabilità si situa la possibilità, anzi la necessità di una formazione integrale e permanente dei fedeli laici, alla quale i Padri sinodali hanno giustamente riservato un'ampia parte del loro lavoro. In particolare, dopo aver descritto la formazione cristiana come «un continuo processo personale di maturazione nella fede e di configurazione con il Cristo, secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito Santo», hanno chiaramente affermato che «la formazione dei fedeli laici va posta tra le priorità della diocesi e va collocata nei programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della comunità (sacerdoti, laici e religiosi) convergano a questo fine»(209). Scoprire e vivere la propria vocazione e missione 58. La formazione dei fedeli laici ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel compimento della propria missione. Dio chiama me e manda me come operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per l'avvento del suo Regno nella storia: questa vocazione e missione personale definisce la dignità e la responsabilità dell'intera opera formativa, ordinata al riconoscimento gioioso e grato di tale dignità e all'assolvimento fedele e generoso di tale responsabilità. Infatti, Dio dall'eternità ha pensato a noi e ci ha amato come persone uniche e irripetibili, chiamando ciascuno di noi con il suo proprio nome, come il buon Pastore che «chiama le sue pecore per nome» (Gv 10, 3). Ma il piano eterno di Dio si rivela a ciascuno di noi solo nello sviluppo storico della nostra vita e delle sue vicende, e pertanto solo gradualmente: in un certo senso, di giorno in giorno. Ora per poter scoprire la concreta volontà del Signore sulla nostra vita sono sempre indispensabili l'ascolto pronto e docile della parola di Dio e della Chiesa, la preghiera filiale e costante, il riferimento a una saggia e amorevole guida spirituale, la lettura nella fede dei doni e dei talenti ricevuti e nello stesso tempo delle diverse situazioni sociali e storiche entro cui si è inseriti. Nella vita di ciascun fedele laico ci sono poi momenti particolarmente significativi e decisivi per discernere la chiamata di Dio e per accogliere la missione da Lui affidata: tra questi ci sono i momenti dell'adolescenza e della giovinezza. Nessuno però dimentichi che il Signore, come il padrone con gli operai della vigna, chiama _ nel senso di rendere concreta e puntuale la sua santa volontà _ a tutte le ore della vita: per questo la vigilanza, quale attenzione premurosa alla voce di Dio, è un atteggiamento fondamentale e permanente del discepolo. Non si tratta, comunque, soltanto di sapere quello che Dio vuole da noi, da ciascuno di noi nelle varie situazioni della vita. Occorre fare quello che Dio vuole: così ci ricorda la parola di Maria, la Madre di Gesù, rivolta ai servi di Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). E per agire in fedeltà alla volontà di Dio occorre essere capaci e rendersi sempre più capaci. Certo, con la grazia del Signore, che non manca mai, come dice San Leone Magno: «Darà il vigore Colui che conferì la dignità!»(210); ma anche con la libera e responsabile collaborazione di ciascuno di noi. Ecco il compito meraviglioso e impegnativo che attende tutti i fedeli laici, tutti i cristiani, senza sosta alcuna: conoscere sempre più le ricchezze della fede e del Battesimo e viverle in crescente pienezza. L'apostolo Pietro, parlando di nascita e di crescita come delle due tappe della vita cristiana, ci esorta: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza» (1 Pt 2, 2). Una formazione integrale da vivere in unità 59. Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a quell'unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società umana. Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo storico» del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura _ sono occasioni provvidenziali per un «continuo esercizio della fede, della speranza e della carità»(211). A questa unità di vita il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno (...). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»(212). Perciò ho affermato che una fede che non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non interamente pensata non fedelmente vissuta»(213). Aspetti della formazione 60. Entro questa sintesi di vita si situano i molteplici e coordinati aspetti della formazione integrale dei fedeli laici. Non c'è dubbio che la formazione spirituale debba occupare un posto privilegiato nella vita di ciascuno, chiamato a crescere senza sosta nell'intimità con Gesù Cristo, nella conformità alla volontà del Padre, nella dedizione ai fratelli nella carità e nella giustizia. Scrive il Concilio: «Questa vita d'intima unione con Cristo si alimenta nella Chiesa con gli aiuti spirituali, che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione attiva alla sacra Liturgia, e questi aiuti i laici devono usarli in modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita l'unione con Cristo, ma, svolgendo la propria attività secondo il volere divino, crescano in essa»(214). Sempre più urgente si rivela oggi la formazione dottrinale dei fedeli laici, non solo per il naturale dinamismo di approfondimento della loro fede, ma anche per l'esigenza di «rendere ragione della speranza» che è in loro di fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi. Si rendono così assolutamente necessarie una sistematica azione di catechesi, da graduarsi in rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita, e una più decisa promozione cristiana della cultura, come risposta agli eterni interrogativi che agitano l'uomo e la società d'oggi. In particolare, soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa, come ripetutamente i Padri sinodali hanno sollecitato nei loro interventi. Parlando della partecipazione politica dei fedeli laici, si sono così espressi: «Perché i laici possano realizzare attivamente questo nobile proposito nella politica (ossia il proposito di far riconoscere e stimare i valori umani e cristiani), non bastano le esortazioni, ma bisogna offrire loro la dovuta formazione della coscienza sociale, specialmente nella dottrina sociale della Chiesa, la quale contiene i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttrici pratiche (cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione, 72). Tale dottrina deve essere già presente nella istruzione catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed università. Questa dottrina sociale della Chiesa è, tuttavia, dinamica, cioè adattata alle circostanze dei tempi e dei luoghi. E' diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche sull'ordine sociale; è dovere di tutti i cristiani dedicarsi alla difesa dei diritti umani; tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici»(215). E, infine, nel contesto della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici, è particolarmente significativa per la loro azione missionaria e apostolica la personale crescita nei valori umani. Proprio in questo senso il Concilio ha scritto: «(i laici) facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo, senza le quali non ci può essere neanche vera vita cristiana»(216). Nel maturare la sintesi organica della loro vita, che insieme è espressione dell'unità del loro essere e condizione per l'efficace compimento della loro missione, i fedeli laici saranno interiormente guidati e sostenuti dallo Spirito Santo, quale Spirito di unità e di pienezza di vita. Collaboratori di Dio educatore 61. Quali sono i luoghi e i mezzi della formazione dei fedeli laici? Quali sono le persone e le comunità chiamate ad assumersi il compito della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici? Come l'opera educativa umana è intimamente congiunta con la paternità e la maternità, così la formazione cristiana trova la sua radice e la sua forza in Dio, il Padre che ama ed educa i suoi figli. Sì, Dio è il primo e grande educatore del suo Popolo, come dice lo stupendo passo del Cantico di Mosè: «Egli lo trovò in terra deserta, / in una landa di ululati solitari. / Lo circondò, lo allevò, / lo custodì come pupilla del suo occhio. / Come un'aquila che veglia la sua nidiata, / che vola sopra i suoi nati, / egli spiegò le sue ali e lo prese, / lo sollevò sulle sue ali. / Il Signore lo guidò da solo, / non c'era con lui alcun dio straniero» (Deut 32, 10-12; cf. 8, 5). L'opera educativa di Dio si rivela e si compie in Gesù, il Maestro, e raggiunge dal di dentro il cuore d'ogni uomo grazie alla presenza dinamica dello Spirito. A prendere parte all'opera educativa divina è chiamata la Chiesa madre, sia in se stessa, sia nelle sue varie articolazioni ed espressioni. E' così che i fedeli laici sono formati dalla Chiesa e nella Chiesa, in una reciproca comunione e collaborazione di tutti i suoi membri: sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Così l'intera comunità ecclesiale, nei suoi diversi membri, riceve la fecondità dello Spirito e ad essa coopera attivamente. In tal senso Metodio di Olimpo scriveva: «Gli imperfetti (...) sono portati e formati, come nel seno di una madre, dai più perfetti finché siano generati e partoriti per la grandezza e la bellezza della virtù»(217), come avvenne per Paolo, portato e introdotto nella Chiesa dai perfetti (nella persona di Anania) e diventato poi a sua volta perfetto e fecondo di tanti figli. Educatrice è, anzi tutto, la Chiesa universale, nella quale il Papa svolge il ruolo di primo formatore dei fedeli laici. A lui, come successore di Pietro, spetta il ministero di «confermare nella fede i fratelli», insegnando a tutti i credenti i contenuti essenziali della vocazione e missione cristiana ed ecclesiale. Non solo la sua parola diretta, ma anche la sua parola veicolata dai documenti dei vari Dicasteri della Santa Sede chiede l'ascolto docile e amoroso dei fedeli laici. La Chiesa una e universale è presente nelle varie parti del mondo nelle Chiese particolari. In ognuna di esse il Vescovo ha una responsabilità personale nei riguardi dei fedeli laici, che deve formare mediante l'annuncio della Parola, la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, l'animazione e la guida della loro vita cristiana. Entro la Chiesa particolare o diocesi si situa ed opera la parrocchia, la quale ha un compito essenziale per la formazione più immediata e personale dei fedeli laici. Infatti, in un rapporto che può raggiungere più facilmente le singole persone e i singoli gruppi, la parrocchia è chiamata a educare i suoi membri all'ascolto della Parola, al dialogo liturgico e personale con Dio, alla vita di carità fraterna, facendo percepire in modo più diretto e concreto il senso della comunione ecclesiale e della responsabilità missionaria. All'interno poi di talune parrocchie, soprattutto se vaste e disperse, le piccole comunità ecclesiali presenti possono essere di notevole aiuto nella formazione dei cristiani, potendo rendere più capillari e incisive la coscienza e l'esperienza della comunione e della missione ecclesiale. Un aiuto può essere dato, come hanno detto i Padri sinodali, anche da una catechesi postbattesimale a modo di catecumenato, mediante la riproposizione di alcuni elementi del «Rituale dell'Iniziazione Cristiana degli Adulti», destinati a far cogliere e vivere le immense e straordinarie ricchezze e responsabilità del Battesimo ricevuto(218). Nella formazione che i fedeli laici ricevono nella diocesi e nella parrocchia, in particolare al senso della comunione e della missione, di speciale importanza è l'aiuto che i diversi membri della Chiesa reciprocamente si danno: è un aiuto che insieme rivela e attua il mistero della Chiesa Madre ed Educatrice. I sacerdoti e i religiosi devono aiutare i fedeli laici nella loro formazione. In questo senso i Padri del Sinodo hanno invitato i presbiteri e i candidati agli Ordini a «prepararsi accuratamente ad essere capaci di favorire la vocazione e la missione dei laici»(219). A loro volta, gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale. Altri ambiti educativi 62 . Pure la famiglia cristiana, in quanto «Chiesa domestica», costituisce una scuola nativa e fondamentale per la formazione della fede: il padre e la madre ricevono dal sacramento del Matrimonio la grazia e il ministero dell'educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali testimoniano e trasmettono insieme valori umani e valori religiosi. Imparando le prime parole, i figli imparano anche a lodare Dio, che sentono vicino come Padre amorevole e provvidente; imparando i primi gesti d'amore, i figli imparano anche ad aprirsi agli altri, cogliendo nel dono di sé il senso del vivere umano. La stessa vita quotidiana di una famiglia autenticamente cristiana costituisce la prima «esperienza di Chiesa», destinata a trovare conferma e sviluppo nel graduale inserimento attivo e responsabile dei figli nella più ampia comunità ecclesiale e nella società civile. Quanto più i coniugi e i genitori cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro «Chiesa domestica» è partecipe della vita e della missione della Chiesa universale, tanto più i figli potranno essere formati al «senso della Chiesa» e sentiranno tutta la bellezza di dedicare le loro energie al servizio del Regno di Dio. Luoghi importanti di formazione sono anche le scuole e le università cattoliche, come pure i centri di rinnovamento spirituale che oggi vanno sempre più diffondendosi. Come hanno rilevato i Padri sinodali, nell'attuale contesto sociale e storico, segnato da una profonda svolta culturale, non basta più la partecipazione _ peraltro sempre necessaria e insostituibile _ dei genitori cristiani alla vita della scuola; occorre preparare fedeli laici che si dedichino all'opera educativa come a una vera e propria missione ecclesiale; occorre costituire e sviluppare delle «comunità educative», formate insieme da genitori, docenti, sacerdoti, religiosi e religiose, rappresentanti di giovani. E perché la scuola possa degnamente svolgere la sua funzione formativa, i fedeli laici si devono sentire impegnati a esigere da tutti e a promuovere per tutti una vera libertà di educazione, anche mediante un'opportuna legislazione civile(220). I Padri sinodali hanno avuto parole di stima e d'incoraggiamento verso tutti quei fedeli laici, uomini e donne, che con spirito civile e cristiano svolgono un compito educativo nella scuola e negli istituti formativi. Hanno inoltre rilevato l'urgente necessità che i fedeli laici maestri e professori nelle diverse scuole, cattoliche o no, siano veri testimoni del Vangelo, mediante l'esempio della vita, la competenza e la rettitudine professionale, l'ispirazione cristiana dell'insegnamento, salva sempre _ com'è evidente _ l'autonomia delle varie scienze e discipline. E di singolare importanza che la ricerca scientifica e tecnica svolta dai fedeli laici sia retta dal criterio del servizio all'uomo nella totalità dei suoi valori e delle sue esigenze: a questi fedeli laici la Chiesa affida il compito di rendere a tutti più comprensibile l'intimo legame che esiste tra la fede e la scienza, tra il Vangelo e la cultura umana(221). «Questo Sinodo _ leggiamo in una proposizione _ fa appello al ruolo profetico delle scuole e delle università cattoliche e loda la dedizione dei maestri e degli insegnanti, al presente in massima parte laici, perché negli istituti di educazione cattolica possano formare uomini e donne in cui si incarni il "comandamento nuovo". La presenza contemporanea di sacerdoti e laici, e anche di religiosi e religiose, offre agli alunni un'immagine viva della Chiesa e rende più facile la conoscenza delle sue ricchezze (cf. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Il laico educatore, testimone della fede nella scuola)»(222). Anche i gruppi, le associazioni e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli laici: hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi, di offrire una formazione profondamente inserita nella stessa esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro aderenti ricevono da altre persone e comunità. La formazione reciprocamente ricevuta e donata da tutti 63. La formazione non è il privilegio di alcuni, bensì un diritto e un dovere per tutti. I Padri sinodali al riguardo hanno detto: «Sia offerta a tutti la possibilità della formazione, soprattutto ai poveri, i quali possono essere essi stessi fonte di formazione per tutti», e hanno aggiunto: «Per la formazione si usino mezzi adatti che aiutino ciascuno ad assecondare la piena vocazione umana e cristiana»(223). Ai fini d'una pastorale veramente incisiva ed efficace è da svilupparsi, anche mettendo in atto opportuni corsi o scuole apposite, la formazione dei formatori. Formare coloro che, a loro volta, dovranno essere impegnati nella formazione dei fedeli laici costituisce un'esigenza primaria per assicurare la formazione generale e capillare di tutti i fedeli laici. Nell'opera formativa un'attenzione particolare dovrà essere riservata alla cultura locale, secondo l'esplicito invito dei Padri del Sinodo: «La formazione dei cristiani terrà nel massimo conto la cultura umana del luogo, la quale contribuisce alla stessa formazione e aiuterà a giudicare il valore sia insito nella cultura tradizionale, sia proposto in quella moderna. Si dia la dovuta attenzione anche alle diverse culture che possono coesistere in uno stesso popolo e in una stessa nazione. La Chiesa, Madre e Maestra dei popoli, si sforzerà di salvare, dove ne sia il caso, la cultura delle minoranze che vivono in grandi nazioni»(224). Nell'opera formativa alcune convinzioni si rivelano particolarmente necessarie e feconde. La convinzione, anzitutto, che non si dà formazione vera ed efficace se ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilità della formazione: questa, infatti, si configura essenzialmente come «auto-formazione». La convinzione, inoltre, che ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione: più veniamo formati e più sentiamo l'esigenza di proseguire e approfondire tale formazione, come pure più veniamo formati e più ci rendiamo capaci di formare gli altri. Di singolare importanza è la coscienza che l'opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto più è disponibile alla azione di Dio: solo il tralcio che non teme di lasciarsi potare dal vignaiolo produce più frutto per sé e per gli altri. Appello e preghiera 64. A conclusione di questo documento post-sinodale ripropongo ancora una volta l'invito del «padrone di casa» di cui ci parla il Vangelo: Andate anche voi nella mia vigna. Si può dire che il significato del Sinodo sulla vocazione e missione dei laici stia proprio in questo appello del Signore Gesù rivolto a tutti, e in particolare ai fedeli laici, uomini e donne. I lavori sinodali hanno costituito per tutti i partecipanti una grande esperienza spirituale: quella di una Chiesa attenta, nella luce e nella forza dello Spirito, a discernere e ad accogliere il rinnovato appello del suo Signore in ordine a riproporre al mondo d'oggi il mistero della sua comunione e il dinamismo della sua missione di salvezza, in particolare cogliendo il posto e il ruolo specifici dei fedeli laici. Il frutto poi del Sinodo, che questa Esortazione intende sollecitare il più abbondante possibile in tutte le Chiese sparse nel mondo, sarà dato dall'effettiva accoglienza che l'appello del Signore riceverà da parte dell'intero Popolo di Dio e, in esso, da parte dei fedeli laici. Per questo rivolgo a tutti e a ciascuno, Pastori e fedeli, la vivissima esortazione a non stancarsi mai di mantenere vigile, anzi di rendere sempre più radicata nella mente, nel cuore e nella vita la coscienza ecclesiale, la coscienza cioè di essere membri della Chiesa di Gesù Cristo, partecipi del suo mistero di comunione e della sua energia apostolica e missionaria. E' di particolare importanza che tutti i cristiani siano consapevoli di quella straordinaria dignità che è stata loro donata mediante il santo Battesimo: per grazia siamo chiamati ad essere figli amati dal Padre, membra incorporate a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, templi vivi e santi dello Spirito. Riascoltiamo, commossi e grati, le parole di Giovanni Evangelista: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1). Questa «novità cristiana» donata ai membri della Chiesa, mentre costituisce per tutti la radice della loro partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e della loro vocazione alla santità nell'amore, si esprime e si attua nei fedeli laici secondo «l'indole secolare» loro «propria e peculiare». La coscienza ecclesiale comporta, unitamente al senso della comune dignità cristiana, il senso di appartenere al mistero della Chiesa-Comunione: è questo un aspetto fondamentale e decisivo per la vita e per la missione della Chiesa. Per tutti e per ciascuno la preghiera ardente di Gesù nell'ultima Cena: «Ut unum sint!» deve diventare, ogni giorno, un esigente e irrinunciabile programma di vita e di azione. Il senso vivo della comunione ecclesiale, dono dello Spirito che sollecita la nostra libera risposta, avrà come suo prezioso frutto la valorizzazione armonica nella Chiesa «una e cattolica» della ricca varietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei carismi, dei ministeri e dei compiti e responsabilità, come pure una più convinta e decisa collaborazione dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti di fedeli laici nel solidale compimento della comune missione salvifica della Chiesa stessa. Questa comunione è già in se stessa il primo grande segno della presenza di Cristo Salvatore nel mondo; nello stesso tempo essa favorisce e stimola la diretta azione apostolica e missionaria della Chiesa. Alle soglie del terzo millennio, la Chiesa tutta, Pastori e fedeli, deve sentire più forte la sua responsabilità di obbedire al comando di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15), rinnovando il suo slancio missionario. Una grande, impegnativa e magnifica impresa è affidata alla Chiesa: quella di una nuova evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno. I fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di quest'impresa, chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo nel servizio ai valori e alle esigenze della persona e della società. Il Sinodo dei Vescovi, celebratosi nel mese di ottobre durante l'Anno Mariano, ha affidato i suoi lavori, in modo del tutto particolare, alla intercessione di Maria Santissima, Madre del Redentore. Ed ora alla stessa intercessione affido la fecondità spirituale dei frutti del Sinodo. Alla Vergine mi rivolgo al termine di questo documento post-sinodale, in unione con i Padri e i fedeli laici presenti al Sinodo e con tutti gli altri membri del Popolo di Dio. L'appello si fa preghiera.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 dicembre, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, dell'anno 1988, undicesimo del mio Pontificato, GIOVANNI PAOLO II |