http://www.vidimusdominum.org/

agenzia degli Ordini Religiosi

 

alcune notizie dall'agenzia Vidimus Dominum” 

(dall'11 settembre al 13 novembre 2001, in ordine di data)

 

 


Roma (Italia), 14 settembre 2001 (agenzia VID)

Terrorismo:  anche un francescano tra le vittime del disastro del World Trade Center 

Ma il padre Jaeger, giurista della Custodia di Terra Santa, avverte sul pericolo dell'islamofobia 

 

Anche un francescano tra le vittime del terrorismo che ha colpito New York. Si tratta di fr. Michael F. Judge, OFM, della Provincia del SS.mo Nome, che è scomparso l’11 settembre mentre prestava la sua opera di Cappellano dei Vigili del Fuoco di New York, sul luogo del disastro del World Trade Center. Fr. Michael aveva 68 anni, era Frate minore da 46 anni e sacerdote da 40. Svolgeva la sua opera di Cappellano nel Dipartimento di New York ed era stato anche volontario tra Vigili del Fuoco. Padre David Jaeger, OFM, israeliano, giurista della Custodia di Terrasanta, in una dichiarazione ha sottolineato che occorre una “lotta implacabile contro il terrorismo, gli individui che lo praticano, gli stati che lo sostengono”. Nello stesso tempo – aggiunge – “vorrei mettere tutti in guardia contro il pericolo reale dell'islamofobia, che rischia di diventare l'antisemitismo del tempo presente. Essendoci appena liberati dalla piaga dell'antisemitismo endemico alle nostre società europee, guai a noi se cadiamo in questa nuova trappola. Il fatto che qualche terrorista o uccisore si dichiari islamico, non dice nulla né della religione islamica, né dell'oltre un miliardo di persone che la seguono e la praticano. Ricordiamoci che anche alcuni dei peggiori criminali dei Balcani dicevano di difendere la cristianità”. Tra le altre reazioni, sul fronte dei religiosi, c’è quella dell’arcivescovo di Milano, Card. Carlo Maria Martini, gesuita, che si è rivolto ai fedeli della diocesi per sottolineare che “tutti gli uomini di pace sono chiamati ad unire le forze per rispondere alla cieca violenza con la forza e la lucidità della ragione”. “A tutte le comunità parrocchiali – ha aggiunto - chiedo di pregare per le vittime della violenza terroristica che ha colpito gli Stati Uniti d’America e di pregare per la pace”.


New York (Usa), 18 settembre 2001 (agenzia VID)

Stati Uniti:  due religiosi tra le vittime degli attentati

Un francescano cappellano dei Vigili e un sacerdote della Congregazione della S.Croce tra i passeggeri dell'aereo lanciato sulle Torri

 

Si è svolta il 15 settembre la cerimonia funebre in ricordo di padre Mychal Judge, 68 anni, OFM, cappellano dei vigili del fuoco di New York, morto nel prestare soccorso alle vittime dell'attentato contro il World Trade Center di New York. La cerimonia funebre è stata presieduta dall'arcivescovo di New York, il cardinale Egan. Nel corso degli ultimi giorni, molte testimonianze di vigili del fuoco e altri fedeli hanno messo in luce la stima e l'affetto che circondavano il religioso. Dal 1986 residente nella parrocchia di San Francesco d'Assisi, a Manhattan, il francescano era nato l'11 maggio 1933, era entrato nei Frati minori nel 1954; i voti perpetui risalgono al 1958 e l'ordinazione sacerdotale al 1961. Tra i passeggeri del secondo aereo abbattutosi sul World Trade Center c'era padre Francis Gorgan, un sacerdote della Congregazione della Santa Croce. Intanto i Frati Francescani dell'Atonement di Garrison, una località a 100 km da New York hanno iniziato una veglia di preghiera di 30 giorni. Il Centro spirituale dei religiosi è aperto tutto il giorno e a disposizione dei fedeli c'è uno spazio dove poter scrivere il nome dei propri cari morti. "Possiamo pregare per la fine della violenza in tutte le sue forme - ha spiegato il direttore del Centro, padre James Gardiner - e per la pace della mente e dei cuori per tutti quelli che hanno sofferto in modo così ingiusto"


Roma (Italia), 18 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo: padre Bini, eliminarlo portando la giustizia ai poveri

Solidarietà del Ministro OFM alle vittime e ai confratelli degli Stati Uniti

 

Eliminare il terrorismo ma portare giustizia agli emarginati e ai poveri. E’ la posizione espressa da padre Giacomo Bini, Ministro Generale dei Frati Minori, in una lettera inviata ai frati degli Stati Uniti per esprimere preghiera e solidarietà dopo gli attacchi dell’11 settembre. “Con le incredibili atrocità di martedì scorso – scrive padre Bini - una forza maligna è stata scatenata a portare distruzione sulla terra. Ci auguriamo che i responsabili di tali gesti possano essere rapidamente assicurati alla giustizia ed i loro disumani disegni fermati. A tutto il popolo americano e a voi che state vivendo questo momento doloroso e tragico vanno le nostre condoglianze, l’affetto e l’ammirazione”. Il Ministro Generale ricostruisce poi i momenti drammatici in cui a Roma è arrivata la notizia degli attacchi. “Abbiamo appreso le tragiche notizie mentre eravamo riuniti in Curia generale per l’incontro annuale con i Visitatori. Era pomeriggio a Roma ed abbiamo deciso di sospendere gli incontri per il resto della giornata. Mercoledì sera, in una Veglia di Preghiera, abbiamo ricordato le vittime della sciagura, unendoci al vostro dolore ed elevando al Signore una supplica. Il senso di tristezza e desolazione del momento è stato espresso dalla lettura in varie lingue del Libro delle Lamentazioni. Abbiamo pregato per voi e per l'America”. ”Mai come in questo momento – conclude il testo – in cui tutte le nazioni si ritrovano unite, possa la comune determinazione portare ad eliminare dal mondo il terrorismo così da assicurare la pace sulla terra e la giustizia per emarginati e poveri”.


Washington (Usa), 19 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  dall'attacco agli USA si può uscire con giustizia anziché con vendetta

Si tratta di una tragedia, secondo l'arcivescovo ucraino Husar, studita e, intanto, nello stato di New York sorge una iniziativa per il cappellano dei vigili del fuoco, francescano, rimasto tra le vittime dell'11 settembre

 

"Una tragedia non solo per gli USA ma per tutto il mondo": così il cardinale Lubomyr Husar, dei Monaci Studiti, ha definito l'attacco terroristico contro New York e il Pentagono dell'11 settembre. Il cardinale, arcivescovo di Lviv degli Ucraini, ha parlato in questi termini a New York nel corso di una liturgia che si è svolta nella Chiesa ucraina di San Giorgio, dei Padri Basiliani, che è la parrocchia della zona dove il cardinale stesso ha vissuto per tanti anni durante la sua permanenza negli Usa. In questa stessa Chiesa l'attuale arcivescovo celebrò la sua prima messa da sacerdote dopo l'ordinazione avvenuta nel 1958. "Questi eventi accadono - ha spiegato riferendosi all'attacco terrorista - quando la gente perde il senso della dignità umana, che viene da Dio". Intanto il Siena College di Loudonville, nello stato di New York, ha istituito un'iniziativa intitolata a padre Mychal Judge, il Frate Minore cappellano dei vigili del fuoco morto nel prestare i primi soccorsi alle vittime dell'attacco. Il Siena College è anch'esso un'istituzione dei Frati Minori e il presidente dell'istituto, Kevin Mackin, OFM, notando che molti studenti con le loro famiglie newyorchesi sono stati personalmente colpiti dalla tragedia, ha deciso di avviare un'iniziativa di sostegno psico-sociale per attutire gli effetti dello shock. Sempre sul piano delle reazioni, c'è da registrare quella di suor Maria Hornung, MMS, Medical Mission Sisters, secondo la quale serve un "futuro di giustizia, libertà, amore e pace". La Congregazione delle Medical Mission Sisters è particolarmente impegnata nel campo sanitario in diverse zone del mondo. "Il terrorismo è inequivocabilmente condannato", osserva la religiosa, che ha il ruolo di responsabile delle attività per il Nord America. Tuttavia - aggiunge - oltre alla solidarietà ricevuta da tanta parte del mondo, occorre "una più profonda solidarietà con la sofferenza di tanta gente nel mondo". In questa situazione "il senso di pericolo e paura può portare alla vendetta o alla giustizia" e per il futuro serve appunto "giustizia".


Washington (Usa), 19 settembre (agenzia VID) 

USA:  religiosi/e, non rispondere alla violenza con la violenza

Un comunicato congiunto dei Superiori e Superiore Maggiori invitano a respingere questa tentazione operando però secondo giustizia

 

Resistere alla tentazione di rispondere alla violenza con la violenza. E cercare la giustizia sopra ogni altra cosa. È la posizione dei Presidenti della Conferenza dei Superiori Maggiori (CMSM) e delle Superiori (LCWR), in un comunicato congiunto sull'attacco terroristico dell' 11 settembre. "Shock e dolore", cui si unisce "condanna per l'insensata violenza", scrivono padre Canice Connors, OFM Conv., Presidente della CMSM e suor Kathleen Pruitt, CSJP, Presidente della LCWR, esprimendo condoglianze alle famiglie delle vittime e ricordando i due religiosi morti, il Frate minore cappellano dei vigili del fuoco, e padre Francis Grogan, religioso della Santa Croce, passeggero di uno degli aerei dirottati. "Possiamo essere tentati di rispondere alla violenza con la violenza. Possiamo essere tentati di condannare i popoli di qualche nazione, etnia o ideologia". Le due Conferenze dei religiosi e delle religiose, invece, "chiedono a tutti, specialmente alle persone di fede, di cercare la verità e la giustizia, testimoniando il perdono di Dio e la riconciliazione. In una parola, siamo chiamati a costruire la pace in un mondo caotico e violento. Condanniamo tutte le azioni terroristiche", ma allo stesso tempo "dobbiamo essere uniti nei nostri sforzi per mettere fine al terrorismo e alla violenza". Nella seconda parte del loro comunicato, i due Presidenti sottolineano che "la giustizia per tutti i popoli è il più sicuro fondamento della pace. E non è responsabilità solo dei responsabili politici ma anche è responsabilità di ogni persona di fede, senza guardare all'etnia, al nazionalismo o allo stile di vita". Preghiamo - concludono - affinché "la pace, fondata sulla giustizia per tutti, possa prevalere nel nostro mondo". 


Roma (Italia), 21 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  Ordini e congregazioni schierati per la giustizia e la pace

Un appello di un saveriano invita a rivolgersi alle istituzioni giudiziarie internazionali per conseguire giustizia

 

Prosegue l’impegno delle Congregazioni e degli Ordini religiosi sul tema della pace e della giustizia, a dieci giorni dall’attacco terrorista contro gli Stati Uniti. Padre Marcello Storgato, missionario saveriano, sta diffondendo il testo di un appello preparato dall’Università di Chicago, in cui si chiede “moderazione e cautela” nella risposta al terrorismo, sottolineando che è preferibile  il ricorso “alle istituzioni giudiziarie internazionali e alle leggi internazionali sui diritti umani, piuttosto che a strumenti di guerra, violenza e distruzione”. “Civili innocenti” che vivono in una nazione ritenuta colpevole “non possono essere ritenuti in nessun modo responsabili” per azioni dei loro governi e dunque “devono essere garantiti nella loro sicurezza ed immunità”. Gli Oblati di Maria Immacolata annunciano che la Congregazione è impegnata “nella preghiera e nella riflessione sul significato e sulle cause del terribile attacco terrorista”. Intanto la Casa Generale ha diffuso il testo di una riflessione del Rabbino Arthur Waskov, direttore di “The Shalom Center”, che a proposito del terrorismo sottolinea che “solo un mondo dove riconosciamo la nostra vulnerabilità può diventare un mondo dove tutte le comunità si sentono responsabili per le altre comunità”. Padre Carlos Azpiroz Costa, Maestro generale dei Domenicani, rivolgendosi a tutto il suo Ordine, esprime vicinanza ai confratelli degli Usa e alle religiose domenicane e ai laici. “Alla luce di questi atti terroristi – aggiunge – chiedo a tutti i Domenicani di farsi voce profetica per predicare la vera pace di fronte alla violenza e all’ingiustizia. Non dobbiamo restare traumatizzati o paralizzati. Piuttosto ci deve motivare a lavorare più intensamente per una pace negoziata piuttosto che per la vendetta, per i diritti umani e dignità per tutti, per una giustizia internazionale che lavori per evitare il ripetersi di questi atti in futuro”.


Washington (Usa), 21 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  la risposta militare non deve colpire innocenti

La Presidente delle suore americane scrive al Congresso degli Stati Uniti per chiedere di non sacrificare altre vite

 

La risposta all’attacco terrorista contro gli USA dell’11 settembre non deve colpire gli innocenti. Lo chiede la Presidente della Leadership Conference of Women Religious, suor Kathleen Pruitt, CSJP, in una lettera inviata al Congresso statunitense. “Chiediamo – sottolinea la religiosa – che vi impegniate a livello diplomatico affinché sia fatto tutto il possibile per portare i responsabili di questo atto davanti alla giustizia”. “E preghiamo – aggiunge – che questo obiettivo sia raggiunto senza infliggere violenza ad un’altra nazione”. “La vendetta – sottolinea la religiosa – non reintegra le perdite del nostro paese”. “Noi siamo una nazione forte e potente” e “perdono, giustizia e pace sono i segni della nostra forza e del nostro diritto”. “Se alla fine la forza delle armi si dimostrasse necessaria per assicurare i colpevoli alla giustizia, preghiamo che venga utilizzata solo contro i responsabili. Che non vengano sacrificate ancora vite – americane o di coloro che vivono negli altri paesi. Non dobbiamo fare agli altri ciò che hanno fatto a noi”. Nell’ultima parte del messaggio, la Presidente della LCWR mette in evidenza che “la giustizia è la più forte” base della pace e che “non è responsabilità solo dei capi delle nazioni ma è la responsabilità di ogni persona, al di là della appartenenza etnica, nazionale, fede e modo di vivere”. Nei giorni scorsi, la Presidente della LCWR e il Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori, avevano reso noto un comunicato congiunto di condanna dell’attentato e di richiesta di un impegno forte per la giustizia e la pace da parte della politica come migliore risposta da dare al terrorismo.


Verona (Italia), 24 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  "Nigrizia" occorre una forte cambio di mentalità

La rivista dei Comboniani interviene nel dibattito sull'attentato alle Torri gemelle di New York

 

“Dove stanno gli agnelli e dove i lupi?”, si chiede “Nigrizia”, il mensile italiano dei missionari comboniani, nell’editoriale dell’ultimo numero, dedicato all’attacco terroristico dell’11 settembre contro gli Stati Uniti. “La violenza che abbiamo visto colpire gli Stati Uniti, con il suo carico di vittime innocenti, ha spinto molti a tracciare schieramenti definiti e definitivi: da una parte l'Occidente democratico (e cristiano), dall'altra il Male, impersonato da centrali terroristiche che si avvalgono delle complicità di stati autocratici (e islamici)”. “Va da sé che questi predatori – prosegue l’editoriale - lungi dal rappresentare i diseredati del mondo, sono invece dei competitori politici che hanno nel mirino la destabilizzazione di molti dei regimi citati. E certo fanno leva anche sulle frustrazioni create dai divari e dalla miseria, dalla questione palestinese e soprattutto sul fatto che l'opinione pubblica islamica si sente minacciata dall'avanzare del ‘pensiero unico occidentale’  – perciò non esitano a strumentalizzare i sentimenti religiosi”. Ma c’è una profonda responsabilità dell’Occidente, che oggi chiede sicurezza e giustizia, disposto a scendere in campo con operazioni di polizia internazionale. In realtà, secondo “Nigrizia”, occorre un profondo cambiamento di mentalità. Infatti “la sicurezza richiede non massicci investimenti in armi, ma al contrario l'impiego di risorse nello sviluppo, nelle organizzazioni, ONU in testa, che agevolano il dialogo, nell'incontro interculturale. Tutto ciò, manco a dirlo, presuppone una politica non appiattita sugli imperativi economici”. “Perciò i cittadini occidentali si devono anche interrogare sulla cultura predatoria che l'Occidente spesso propone, una cultura per la quale il profitto è sempre legittimo (chi ci garantisce che i mezzi finanziari dei terroristi non siano gestiti in qualche paradiso fiscale o all'ombra del segreto bancario in qualche rispettabilissimo stato occidentale?), una cultura messa in discussione dal vasto movimento nonviolento che critica questa globalizzazione, una cultura così frequentemente dimentica di quei valori cristiani di cui si dice impregnata”.


Roma (Italia), 24 settembre 2001 (agenzia VID) 

Domenicani:  solidarietà da molti paesi dopo l'attacco terrorista in America

Testimonianze anche dal Pakistan e Iraq

 

L’Ordine Domenicano si stringe attorno ai religiosi degli Stati Uniti dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre. Il provinciale della Provincia di Chicago sta infatti ricevendo numerosi attestati di solidarietà da varie zone del mondo. Attestati non formali, che portano anche notizie di iniziative concrete. Ad esempio dalla provincia del Pakistan, padre James Channan dà notizia di una conferenza stampa avvenuta il 15 settembre e tenuta dai Domenicani, nel corso della quale insieme ad un gruppo di musulmani, a Lahore, è stato condannato l’attacco terroristico, offrendo preghiere per le vittime e sostegno al governo Usa. “La televisione pachistana e i giornali – aggiunge il religioso – hanno dato un’ampia copertura della nostra conferenza stampa”. Dall’Iraq, suor Marie Therese Hanna, OP, priora della Congregazione di Santa Caterina, scrive di essere “contro ogni atto barbaro di terrorismo”. “Sfortunatamente – aggiunge – non possiamo fare niente” a causa della situazione irachena “ma voi siete presenti nelle nostre preghiere”. Altre lettere sono arrivate dai provinciali della Croazia, dell’Italia, della Repubblica Ceca, del Cile, dell’Argentina. Dall’India, fratel Oscar Nazareth, riferisce di iniziative di preghiera e solidarietà per le vittime del terrorismo. Aggiunge poi che “il linguaggio della vendetta non deve far dimenticare la pace”. “Gli eventi degli ultimi giorni ci mostrano la vulnerabilità della più grande super-potenza del mondo”, “gli edifici più sicuri sono distrutti davanti a noi. Confidiamo sempre di più nella potenza e nella capacità dell’uomo e cantiamo ‘In Dio abbiamo fiducia’. C’è forse qualcosa su cui riflettere meglio?” – si chiede il religioso concludendo la sua lettera.


Caracas (Venezuela), 26 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  evitare cultura della vendetta travestita da giustizia

Lo scrive padre Arturo Sosa, provinciale dei Gesuiti in Venezuela, in una breve riflessione sugli attacchi terroristici

 

Mantenendo la strategia dell’occhio per occhio, anche in questo caso di attacco terroristico, pur inqualificabile, si può correre il rischio di produrre una cultura della vendetta travestita da giustizia. E’ uno dei punti della riflessione del padre Arturo Sosa, provinciale dei gesuiti del Venezuela. Una delle tante riflessioni che stanno percorrendo in questi giorni comunità e singoli religiosi e religiose di tutto il mondo. “La difesa della libertà umana – rileva tra l’altro padre Sosa - è possibile solo se intimamente legata alla misericordia e al perdono, espressioni sublimi dell'amore e unico fondamento delle decisioni umane che rendono veramente liberi. Gli attacchi terroristici di Washington e New York dell'11 settembre furono attacchi diretti contro la vita, cercavano non solo di colpire, ma di uccidere indiscriminatamente per creare la paura di vivere in libertà. Che cosa abbiamo fatto perché l'ingiustizia, la guerra e il terrorismo divenissero moneta corrente nella nostra civiltà il cui vanto è la libertà come autentica forma e sostanza della vita umana? Ognuno deve porsi la domanda. In primo luogo, gli americani, che possono trarre vantaggio dal terribile avvenimento per imparare qualcosa di se stessi e del mondo in cui vivono. Devono porsela anche i nemici degli Stati Uniti, quelli che se la sono sentiti di far festa, senza riconoscere il vero peso delle cause e degli effetti della tragedia. E tutti noi, come singoli e come popoli, poiché siamo parte di questo momento della storia umana. Gli autori diretti e coloro che li hanno protetti dovranno rispondere dei loro crimini. Una risposta ispirata al perdono, la dimensione più divina dell'amore misericordioso,- aggiunge il gesuita -  può essere il modo migliore non solo di difendere la libertà, ma anche di aprire una strada nuova e di liberazione nella storia umana. La giustizia e la libertà non si ottengono con la strategia dell'"occhio per occhio". È stato dimostrato altre volte nella storia sociale e nelle vicende personali, ma non riusciamo a imparare la lezione e torniamo ripetutamente a confidare in questa forma di reazione dinanzi agli eventi collettivi e ai conflitti interpersonali. Abbiamo prodotto una "cultura" della vendetta travestita da giustizia. La Giustizia del Dio della Vita, che numerosi invochiamo dinanzi ai fatti dell'11 settembre, inizia con l'abbraccio del perdono per aprire la via dell'amore che ricostruisce le persone e le civiltà. Sarà possibile, in quest'occasione, rompere il circolo vizioso del "dente per dente" per aprirci alla dinamica della libertà conquistata attraverso la giustizia che nasce dal perdono, dalla misericordia e dall'Amore? La porta di questo cammino è aperta, l'invito ad attraversarla è rivolto a ciascuno di noi, a tutti i popoli e tutte le culture del mondo. Facciamo il primo passo verso un cambiamento profondo in questo aspetto cruciale delle nostre culture e del nostro modo di reagire. "Occhio per occhio lascia tutti ciechi"  diceva Gandhi”.


Roma (Italia), 26 settembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  religiosi/e in campo contro la guerra ma per vincere le ingiustizie

Commissione Giustizia e Pace USG-UISG promuove sit-in. 

Contrari alla guerra anche Comboniani e Saveriani  

 

Il primo modo di combattere il terrorismo è quello di combattere le ingiustizie che affliggono la vita di tanti paesi del Terzo Mondo. Lo sostengono tanti religiosi e suore che si stanno dichiarando in questi giorni contro il ricorso alla guerra quale arma appropriata per rispondere e vincere il terrorismo, autore di una pagina nera della storia con l’attentato agli Stati Uniti. Il chiaro “no” alla guerra è venuto anzitutto da un sit-in  davanti all’ambasciata americana di Roma, promosso dalla Commissione Giustizia e Pace di USG e UISG. Una iniziativa che sarà ripetuta in seguito. “La nostra – spiega fratel Anton De Roeper, segretario della Commissione – non è stata una dimostrazione anti-USA ma una preghiera per la pace. In Via Veneto c’erano molti religiosi statunitensi. Abbiamo solo voluto dire: non reagiamo al dramma vissuto con la violenza, non facciamo guerre di religione ma, semmai, agiamo con un sistema di protezione e sicurezza più efficienti e nel contempo con più attenzione per rimuovere le tante ingiustizie del mondo e più attenzione per le altre culture e religioni”. “Il nostro - aggiunge suor Rose Fernando, francescana e portavoce dell’UISG – è stato un messaggio chiaro: no al terrorismo, no alla violenza, no alla guerra. Il nostro è solo un piccolo segno ma che ha già raccolto l’adesione di oltre 50 congregazioni religiose”. Sulla stessa lunghezza d’onda i Comboniani e i saveriani. “Mi pare che non si possa che stigmatizzare – osserva padre Giulio Albanese, direttore della Misna – la superficialità con la quale oggi si parla di guerra. Non è solo simbolico ricordare che anche il Sud del mondo ha avuto i suoi morti nelle Twin Towers. Personalmente ho notizie di almeno 100 pakistani tra le vittime. Non si tratta quindi di una guerra di civiltà o peggio di religione”. I problemi portati  all’attenzione della pubblica opinione dal gesto criminale dei terroristi, secondo padre Gabriele Ferrari, ex superiore generale dei Saveriani, “sono la punta di un iceberg sommerso, una colossale mina vagante che presto o tardi doveva pur scoppiare e fare dei danni. Sono l’emergere di una rabbia accumulata e profonda contro l’arroganza, il disprezzo e il trionfalismo con cui noi occidentali ci siamo comportati negli ultimi tempi nei confronti del Sud del mondo”.


Roma (Italia), 27 settembre 2001 (agenzia VID) 

Frati Minori:  messaggio rettori Università ai "fratelli terroristi"

Inviato dall'incontro internazionale di Roma

 

I Rettori delle Universita’ e dei Centri di Ricerca dei Frati Minori (OFM), riuniti in Italia per il loro primo incontro internazionale, mandano un messaggio di pace e fraternita’ ai “fratelli terroristi”. “Non si può combattere la ricchezza, il potere, la violenza, l'ingiustizia e la discriminazione etnico-sociale bagnando la terra con sangue innocente, proprio come fanno i ricchi, i potenti, i violenti”. “Pensate a san Francesco - proseguono - che da 800 anni ha inviato migliaia dei suoi frati per difendere fin alla morte i poveri, i deboli, i dimenticati. Se ci unisce la sete di giustizia, facciamo morire dentro di noi la violenza e l'ingiustizia. Moriamo noi perché nessuno muoia. Il Dio onnipotente e misericordioso non può benedire chi di noi diventa assassino del suo fratello”. I partecipanti all’incontro, concludono il loro messaggio, approvato il 24 settembre, rilevando che “davanti al sangue innocente di Gesù, versato per noi, impariamo come si combatte il male che domina il mondo, il demonio che ci divide dall'Amore”. E firmano “i vostri Fratelli Francescani”.


Roma (Italia), 5 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  Gesuiti, per batterlo occorre un rivoluzione culturale

Il ricorso alla sola forza militare non aiuta a sradicare i sentimenti antioccidentali tanto diffusi, rileva "La Civiltà Cattolica"

 

Il ricorso alla forza non risolve alcun problema “se non forse quello di cedere a un folle desiderio di vendetta, che purtroppo è presente in alcuni”. Lo scrive “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei Gesuiti, nell’editoriale dell’ultimo numero, dedicato ad una riflessione sugli effetti dell’attacco terroristico dell’11 ottobre contro gli Usa. La lotta al terrorismo – secondo la rivista - comporta una “rivoluzione culturale” in Occidente “per cercare di conoscere e capire le cause e le modalità di espansione di un tale fenomeno, che ha assunto recentemente forme e modalità nuove”. E’ però importante “anche cominciare ad asciugare l’ ’acqua’, in cui il terrorismo naviga, costituita dall’ampia presenza di un atteggiamento antioccidentale presente soprattutto nelle masse diseredate arabe e islamiche”, che “si convincerebbero ancor più della giustezza delle proprie posizioni” se le mosse dell’Occidente creassero “nuovi martiri”. “È stato scritto da molti – conclude l’editoriale -  che le misure necessarie per prevenire le azioni terroristiche in Occidente comportano anche limitazioni all’esercizio di alcune libertà; bisognerà abituarsi a convivere con esse per molto tempo. Ma le maggiori conseguenze sono quelle economiche: ci sarà un rallentamento generale dell’economia? O le conseguenze toccheranno soltanto il turismo internazionale e le linee aeree? Sono queste le preoccupazioni principali che circolano in Occidente. Forse sarebbe invece opportuno cominciare a guardare a questi problemi anche con gli occhi degli abitanti dei Paesi del Terzo Mondo, che da sempre, nella grande maggioranza, sono angosciati dalla lotta quotidiana per la propria sopravvivenza. E così apparirà sempre meno saggio, ad esempio, l’atteggiamento dei Paesi del G 8, riuniti a Genova, che hanno evitato ogni impegno preciso di destinare ai Paesi poveri lo 0,7% del proprio prodotto interno lordo”. E dunque “se l’economia globalizzata coinvolge  tutti, allora tutti devono essere messi in grado di parteciparvi in condizioni di partenza simili, in modo che sia possibile costruire un mondo più abitabile”.


Roma (Italia), 6 ottobre 2001 (agenzia VID)

Terrorismo:  padre Steckling, si vince con civiltà dell'amore

Il superiore generale degli Oblati di Maria Immacolata ha scritto sull'argomento una breve lettera ai suoi religiosi

 

Di fronte alla minaccia del terrorismo, padre Wilhelm Steckling, Superiore generale degli Oblati di Maria Immacolata, rileva che "è ora di essere più uniti attraverso la comunione in Cristo". In una breve lettera rivolta alla Congregazione, padre Steckling prima di tutto espone i suoi sentimenti di pena e solidarietà verso le vittime e i parenti. Tuttavia, aggiunge, "l'umanità si trova di fronte ad una sfida: come sfuggire alla logica dell'odio, del terrore e della paura" e "arrivare ad un mondo basato sulla civiltà dell'amore". A questo proposito, il religioso invita a guardare all'esempio "di coraggio e attività" del Papa "durante la sua visita pastorale in Asia" delle scorse settimane.


Roma (Italia), 8 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  Priore generale Agostiniani, nella giustizia la risposta

Padre Prevost ne ha parlato a chiusura del Capitolo generale che lo ha eletto

 

Come agostiniani "siamo chiamati a rispondere a tante forme di ingiustizia e di divisione nel mondo". Lo ha sottolineato padre Robert Francis Prevost Martinez, nuovo Priore Generale, nel discorso con cui nei giorni scorsi ha chiuso i lavori del Capitolo generale che il 14 settembre lo ha eletto. In particolare, riferendosi al contributo dei religiosi alla promozione della giustizia, ha messo in evidenza che "i nostri principi di unità nella diversità, rispetto per la dignità di ogni persona, promozione del bene comune e distribuzione equa tra tutti, sono princìpi particolarmente significativi perché mancano nel mondo". Prevost ha poi ricordato che "l'esempio di s. Agostino, il suo studio della Parola di Dio, la sua interiorità e il riconoscimento della presenza di Dio, sono altrettanti modi di comprendere che siamo chiamati ad essere agostiniani nel mondo di oggi". Con riferimento alle vicende di attualità, dopo gli attentati dell'11 settembre, il Priore generale ha messo in evidenza che "mentre molti cercano la vendetta, noi dobbiamo testimoniare il Vangelo e i suoi valori di unità, dialogo, pace e riconciliazione".


Città del Vaticano, 8 Ottobre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  mons. Legaspi (dei Domenicani), dare speranze concrete a i poveri e ai giovani

Il vescovo filippino ha sottolineato al sinodo il paesaggio di disperazione che i recenti attentati hanno solo messo sotto i riflettori

 

La gravità degli attentati terroristici in America hanno solo messo in luce la precarietà della speranza degli uomini e donne di oggi, specialmente se poveri o giovani. Partendo da questa osservazione, il vescovo domenicano Leonardo Legaspi, arcivescovo di Caceres nelle Filippine,  ha rilevato l’impegno che i vescovi e la chiesa devono mettere nel creare ragioni di speranza per i poveri e i giovani in modo particolare in un mondo dal futuro minaccioso con i suoi potenziali di caos e insicurezze ancora maggiori. Ciò che i poveri e i giovani si aspettano da noi – ha osservato Legaspi – non sono i luoghi comuni, ma la testimonianza dell’azione, perché la speranza nasce quando viene vissuta. Per i poveri la cui disperazione nasce dal loro asservimento a un sistema economico ingiusto, la speranza che offriamo dovrebbe comprendere i mezzi concreti per promuovere la giustizia ed effettuare una più giusta distribuzione delle risorse mondiali. Per i giovani, la cui disperazione nasce dalla perdita di significato e scopo nella vita, dobiamo offrire la visione di una chiesa quale coraggiosa e vibrante comunità di speranza, alla cui vita e al cui operato i giovani possono partecipare come coartefici di una nuova umanità incentrata in Cristo.


Verona (Italia), 11 Ottobre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  Comboniani, attenzione alla trappola di risposte violente

L'avvertimento viene lanciato dalla rivista missionaria "Nigrizia" mentre oggi si prega in tutto il mondo per le vittime dell'11 settembre e per la pace

 

I terroristi che hanno concepito, finanziato ed eseguito gli attentati dell’11 settembre sono predatori che puntano ad imporre una logica di guerra. La sola logica che consentirebbe loro di propiziare la radicalizzazione di regimi più o meno moderati e di creare un blocco antioccidentale là dove oggi si manifestano posizioni politiche e distanze diverse. Lo sostengono i missionari Comboniani del mensile “Nigrizia” in un editoriale dedicato alla spirale della violenza che si è scatenata nel mondo e dove diventa sempre più difficile individuare i lupi e gli agnelli. I cittadini occidentali chiedono giustizia e sicurezza, sottolineano i Comboniani, ma “bisogna rispondere che chi auspica azioni belliche in grande stile, o ricalca le logiche dei terroristi o tenta di scongiurare la recessione o entrambe le cose. Mentre la giustizia si può ottenere con strumenti di investigazione e giudiziari, e con operazioni di polizia internazionale, in grado di individuare i colpevoli e di portarli in giudizio: sarebbe una scelta all’altezza del miglior Occidente, quello delle libertà collettive e individuali, quello dei diritti umani. Questa riflessione dei Comboniani è stata diffusa come editoriale della rivista negli stessi giorni in cui da un lato è scattata la rappresaglia anglo-americana e dall’altra, oggi in particolare, si prega nel trigesimo della tragica morte delle vittime del terrorismo dell’11 settembre.


Roma (Italia), 13 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  padre Bini, seguire il perdono e la riconciliazione

La vendetta all'infinito porta al suicidio mondiale

 

Il terrorismo, l’attacco contro l’Afghanistan, mettono in evidenza il ruolo dei religiosi “di coscienza critica del mondo, per denunciare che con la violenza si genera solo altra violenza”. Lo ribadisce a “Vidimus Dominum” padre Giacomo Bini, Ministro generale OFM, commentando le notizie che arrivano ad un mese dagli attentati di New York e Washington.  “Se ognuno dovesse vendicarsi, allora il mondo andrebbe dritto verso il suicidio! I religiosi devono svolgere il compito di coscienza critica e portare il messaggio evangelico di amore”. Ed è una considerazione che vale in maniera particolare per i Frati Minori, presenti in molti paesi islamici, soprattutto in Nord Africa e in Medio Oriente. “Francesco nella prima regola manda i frati in mezzo a chi non crede e raccomanda loro di non dire nulla, di testimoniare con la vita, parlando solo quando lo Spirito indicherà tempi e modi”. “La nostra strategia è quella dell’incarnazione, con una presenza vicina all’altro proprio perché molte problematiche si risolvono quando ci incontriamo con un atteggiamento fraterno e di empatia”. “Andate nel bosco e gridate ‘venite fratelli briganti’, raccomanda ancora Francesco ai frati quando non sanno come comportarsi in queste situazioni di rapporti difficili”. Ciò vuol dire a noi oggi, aggiunge il Ministro generale, “che in questa logica di Francesco, tutti noi siamo delle povere creature, deboli, e possiamo avvicinarci agli altri non con la violenza ma col perdono e la riconciliazione”.


Washington (Usa), 16 ottobre 2001 (agenzia VID)

Afghanistan:  priora benedettina americana: non ci resta che pregare

Suor Vladimiroff sostiene che portare la distruzione dentro un altro Paese "ci rende complici"

 

Solo la fede in Dio può dare quell’umiltà che consente di “chiedere perdono per l’oppressione portata dalla nostra politica e anche qualche volta dalla nostra religione”. Così scrive suor Christine Vladimiroff, OSB. Priora del monastero di Mount Saint Benedict, a Erie, nello stato dell’Ohio. La religiosa spiega esplicitamente che il motivo delle sue riflessioni è determinato dall’attacco statunitense contro l’Afghanistan, giunto oramai alla seconda settimana. Di fronte alle distruzioni, di fronte alle bombe, “è il tempo di pregare”. “Non abbiamo risposte – prosegue la religiosa -. Siamo del tutto esposti. Possiamo pregare Dio nostro pastore e rifugio in modo che abbia significato?”. Suor Christine aggiunge che portare la distruzione all’interno di un altro paese “ci rende complici”. “Non può esserci una terra sicura per noi se non c’è per tutta l’umanità”. La risposta è nel volgersi alla fede in Dio. “Con il Dio di Abramo, Ebrei, Musulmani e Cristiani possono costruire un mondo senza confini da difendere. Ogni cultura ed ogni tribù avrà spazio in abbondanza per vivere e pregare” e solo seguendo questa strada “non ci sarà guerra… nessuno sarà chiamato nemico”.


Roma (Italia), 17 ottobre 2001 (agenzia VID)

Afghanistan:  Francescano Conventuale, contro attacco esporre bandiera bianca

Padre Croccoli, delegato di Giustizia e Pace, invita a pregare e rileva le molte facce del terrorismo

 

Il delegato generale della Commissione Giustizia, Pace e Integrità della Creazione dei Francescani conventuali, Vasco Croccoli, ha chiesto in una lettera che i confratelli facciano un "gesto concreto, semplice e pratico" contro il conflitto in Asia con i bombardamenti sull'Afghanistan. Per evidenziare la volontà di pace, i Francescani conventuali devono mettere una bandiera bianca su ogni convento, chiesa, cappella, mezzo di trasporto, dovunque essi siano presenti, e pregare continuamente con la preghiera di Francesco "Signore, fai di me uno strumento della tua pace". La "guerra al terrorismo", spiega il religioso nella lettera inviata ai confratelli, non può venire ristretta solo ai gruppi dei taleban ma va allargata comprendendo "altri gruppi organizzati o istituzioni come i paramilitari, i mercenari, i gruppi di sterminio, il commercio e traffico di armi e droga, di donne e bambini, la pedofilia e il turismo sessuale, i paradisi fiscali" e altri. "Milioni di esseri umani - aggiunge il religioso - sono senza acqua potabile, senza scuola, senza assistenza medica, senza diritti". Ed anche nel loro caso, si deve parlare di "vittime del terrorismo", un terrorismo silenzioso ma "costante".


Città del Vaticano, 18 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Islam:  mons. Grab, religiosi/e europei in prima linea nel dialogo

Il Presidente dei vescovi europei, benedettino svizzero, si dichiara favorevole alla distensione e alla pace

 

I religiosi hanno un ruolo tutto particolare da svolgere nel dialogo con il mondo islamico. E soprattutto gli europei, che per la collocazione geografica hanno dei rapporti particolari con l’Islam. Lo sottolinea mons. Amedee Grab, OSB, vescovo di Chur, in Svizzera, e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee. “Il dialogo tra Europa ed Islam – spiega il presule a “Vidimus Dominum” durante una pausa dei lavori del Sinodo dei vescovi, al quale partecipa – è permanente a tutti i livelli, nella convivenza quotidiana  e nello scambio di esperienze. Ci si accorge che tanti musulmani cercano la pace e condannano la violenza”. In questa situazione, “l’Europa si trova in una situazione che può essere di aiuto per le altre popolazioni. Come cristiani europei abbiamo il dovere di partecipare alla distensione favorendo lo spirito di pace”. I religiosi hanno un ruolo del tutto particolare da svolgere “per lo stile di vita cui sono impegnati, non per scelta propria ma per chiamata del Signore. All’inizio del Sinodo abbiamo ricordato San Francesco, che seppe intessere rapporti di leale rispetto con i musulmani. Chi vive nell’attesa del Regno, ha già una prospettiva più distaccata, è lontano da interessi immediati, per annunciare la pace che è dono di Dio”.  


Città del Vaticano, 19 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Islam:  padre Negrini, inevitabile specialmente ora un dialogo amichevole

Il religioso scalabriniano è incaricato del settore migrazioni del dicastero vaticano per migranti e itineranti

 

“Inevitabile” il confronto con l’Islam, perché è “in casa nostra” con l’immigrazione, ma soprattutto “inevitabile diventa a questo punto il dialogo”. Lo ha detto padre Angelo Negrini, scalabriniano, Incaricato del Settore Migrazioni del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nella conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Papa per l’88esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2002. Il religioso è partito dalla considerazione che per il Papa “la presenza musulmana nella nostra società sia un fatto caratteristico da interpretare e al quale rispondere con una vita cristiana conforme ai dettati del Vangelo”. “Non si insisterà mai abbastanza – ha spiegato padre Negrini - sull’arricchimento che il dialogo potrà apportare se si è capaci di lavorare fianco a fianco, mangiare insieme, sopportare con solidarietà gli stessi problemi e sofferenze, condividere gli stessi momenti di gioia. E’ in questa quotidiana condivisione dei valori più umili e più profondamente umani che cristiani e musulmani, potranno aiutarsi reciprocamente a rispondere alle domande essenziali sul mondo, sull’uomo e su Dio”. Malgrado “tutti i fallimenti del passato”, dobbiamo essere “convinti che dialogare non significa annullare o annacquare la propria identità, ma anzi riconoscerla e possederla coscientemente, manifestarla con convinzione, senza timore di coloro che la pensano diversamente. Sono la mancanza di chiarezza e  l’ambiguità a impedire,  falsare e imbrogliare il dialogo, non una fede convinta. E’ l’incertezza o la scarsa convinzione che rende arroganti e fa del dialogo un’operazio­ne puramente politica”. “Il problema dell’incontro con l’Islam, come del resto con tutte le altre religioni – ha concluso il religioso - diventa così un problema personale, un problema di formazione all’essere cristiani autentici, non  per intraprendere altre crociate o guerre sante, ma per impostare un confronto sincero tra credenti adulti nella fede, convinti che il pluralismo non nasce certo dalla omologazione  delle diverse verità di fede,  men che meno da preconcetti sulle convinzioni altrui, ma dal confronto con esse”.


Roma (Italia), 23 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  appello a sentimenti di pace e riconciliazione

Rivolto dalla Superiora Generale a tutte le Adoratrici del Sangue di Cristo 

dopo gli attentati dell'11 settembre

 

“Noi ci sentiamo profondamente legate in questo momento alle nostre sorelle degli Stati Uniti, e siamo solidali anche con tutto il popolo toccato da tanta sofferenza, causata da un'azione terroristica ingiusta ed inumana”. Lo scrive in un appello a nutrire sentimenti di riconciliazione e di pace alle Adoratrici del Sangue di Cristo suor Vittoria Tomarelli superiora generale della congregazione dopo l’attentato terroristico dell’11 settembre che ha colpito il “cuore sociale e politico degli USA e che inquieta le nazioni a livello mondiale”. Richiamandosi agli atti dell’ultima Assemblea generale, la superiora generale ricorda che: ‘’Consapevoli che i vari sistemi sociali, politici, economici, su scala mondiale, non offrono salvezza piena all'umanità, con una sola voce  professiamo la nostra fede nel potere di redenzione del Sangue di Cristo, sorgente vera ed unica di pace e di riconciliazione”. “Sperimentiamo infatti dagli avvenimenti, aggiunge suor Vittoria Tomarelli - quanto siano fragili i nostri sistemi sociali, economici e politici. In questi giorni ho effettuato una visita in Albania ed anche la realtà di quel popolo è la testimonianza di un sistema non solo fragile, ma anche ingiusto”. “ Care suore - è la conclusione dell’appello - alla luce di questa verità, è importante nutrirci di sentimenti di pace e di solidarietà, così come ci nutriamo ogni giorno del Sangue di Gesù; utilizziamo tutte le possibilità che abbiamo per conoscere  meglio le situazioni storiche e le varie religioni con le quali siamo chiamate a convivere, in modo particolare l'Islam. E' necessario sapere quali valori sono sacri per le diverse culture così da parlare e comportarci correttamente in relazione ad esse. La situazione attuale di conflitto può inquietarci, ma noi sappiamo a Chi abbiamo dato fiducia, in Chi abbiamo posto la nostra speranza. Egli ci custodirà fino al suo ritorno (Cfr 2Tim 1,12)”.


Roma (Italia), 24 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Afghanistan:  colpendo innocenti l'attacco prende contorni di una vendetta

Lo scrivono i Gesuiti della rivista "America", mentre in India i figli di sant'Ignazio promuovono manifestazioni pacifiste

 

Negli Stati Uniti i Gesuiti discutono se l’intervento contro l'Afghanistan possa rientrare e in che modo nelle categorie della "guerra giusta", mentre in India manifestano a favore della pace e contro le azioni belliche. L'editoriale dell'ultimo numero di "America", la rivista della Compagnia di Gesù negli Usa, è ancora una volta dedicato al conflitto, e sottolinea che se "fermare il terrorismo è una giusta causa", pure dopo un mese di combattimenti "non è chiaro" se ci sia stato "abbastanza tempo" per esaurire tutte le opzioni politiche e diplomatiche e dare la voce solo alle armi. Tuttavia, aggiunge la rivista, "l'intenzione dovrebbe essere di portare giustizia, non vendetta", il che non sembra realizzarsi vedendo quanti civili innocenti siano stati uccisi. La guerra al terrorismo, spiega l'editoriale, "non si può vincere semplicemente con le bombe. Gli Usa hanno bisogno del sostegno non solo dei governi dei paesi musulmani ma anche della pubblica opinione islamica. Per questo è stato folle per l'amministrazione aspettare un mese prima di accettare l'invito di apparire su Al Jazeera, un canale indipendente in Qatar, che può venire usato per mandare il nostro messaggio al mondo musulmano. Questa guerra non sarà vinta sulle montagne dell'Afghanistan.   Sarà vinta quando i musulmani saranno convinti che gli Stati Uniti agiscono giustamente". Intanto in India, si è svolta in questi giorni a New Delhi una manifestazione pacifista, organizzata come una catena umana, voluta dall' "Indian Social Institute", fondato e gestito dalla Compagnia di Gesù. La protesta è stata organizzata il 19 ottobre, con la partecipazione di svariate centinaia di persone, nel centro di New Delhi. Alla testa del corteo c'erano circa 40 tra sacerdoti e suore, con slogan come "Non uccidere gli innocenti! Nessuna repressione in nome del terrorismo". Il 30 ottobre è stata indetta una seconda manifestazione di protesta, sotto forma di una processione al centro della città.

 


Roma (Italia), 25 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Rifugiati:  leggi di emergenza antiterrorismo ledono loro diritti

Lo afferma il direttore internazionale del Jesuit Refugee Service che invita ad accogliere i bisognosi afghani e accusa USA e Australia per restrizioni alla libertà

 

Aprire i propri confini ai rifugiati provenienti dall'Afghanistan: è l'appello del "Jesuit Refugee Service" (JRS), di fronte alla difficile situazione umanitaria che si sta verificando in Asia in queste settimane. Il servizio di assistenza della Compagnia di Gesù rileva in particolare che ci sono milioni di profughi interni in Afghanistan, che non hanno finora la possibilità di cercare rifugio nelle nazioni vicine. Secondo quanto ha affermato Lluis Magrina SJ, direttore internazionale del JRS, Pakistan e Iran ospitano tra le più numerose popolazioni di rifugiati del mondo e i loro timori sono comprensibili. Ma nonostante questo e le preoccupazioni circa le condizioni di sicurezza, coloro che fuggono dall’Afghanistan devono essere protetti. Vietando ai rifugiati di attraversare i confini, gli stati stanno violando i loro diritti. Il JRS denuncia che negli USA, nuovi provvedimenti, giustificati in nome della sicurezza nazionale, danno ai funzionari ampi poteri di detenere gli immigrati. All'inizio di ottobre, 700 persone era state messe in detenzione, la maggior parte per violazioni della legge sull'immigrazione. La legislazione anti-terrorismo proposta consente una detenzione prolungata con limitate possibilità di riesame in giudizio per i non - cittadini, tra i quali i richiedenti asilo, i residenti con permesso di soggiorno permanente o i rifugiati. In Australia, a settembre è stata approvata una legge che limita ancora di più i casi di richiesta di asilo politico, come ha documentato Andre Sugijopranoto SJ, direttore del JRS Asia del Pacifico. "Gli USA e gli altri stati hanno, senza dubbio, il dovere di proteggere i propri cittadini - ha spiegato padre Magrina. "Questo non dovrebbe condurre, però, a misure che ledano i diritti degli immigrati e dei richiedenti asilo. Utilizzare una situazione di emergenza per limitare i diritti fondamentali di un gruppo vulnerabile metterà a grave rischio i diritti civili. Intaccherà le fondamenta democratiche delle nostre stesse nazioni".


Manila (Filippine), 29 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Afghanistan:  medievale parlare di "guerra giusta"

Lo sostiene religioso OMI delle Filippine presidente di università ed esperto islamista

 

La teoria della "guerra giusta" viene direttamente dal Medioevo e nell'epoca contemporanea nessun Papa ne ha riaffermato la validità. Così ha spiegato padre Eliseo Mercado, OMI, presidente della Notre Dame University di Cotabato, una città che si trova a 900 km a sud di Manila. Il religioso è un esponente di primo piano nel dialogo con l'Islam, ha studiato in Medio Oriente e negli ultimi anni ha fatto parte della commissione incaricata di verificare la tenuta della tregua tra governo filippino e guerriglia islamica a Mindanao. Il messaggio della non violenza, ha spiegato il religioso, è parte integrante della visione cristiana e "non è compatibile con una giustificazione della guerra". Inoltre, la "guerra giusta" invocata come sostegno dell'azione militare degli Usa contro l'Afghanistan, fa parte di una costruzione medioevale, abbandonata nel diciannovesimo secolo e mai più ripresa. Secondo il religioso, la posizione della Chiesa nell'epoca contemporanea, è basata sul "principio di proporzionalità" e inoltre la scelta a favore della vita si pone all'antitesi di ogni legittimazione della guerra. La stessa posizione è stata assunta in queste settimane dal cardinale Ricardo Vidal, arcivescovo di Cebu, nelle Filippine centrali. Parlando alla radio, l'arcivescovo ha sottolineato a proposito del conflitto "che non si può rispondere ad un errore con un altro errore".


Roma (Italia), 30 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Dialogo:  per la pace più che mai necessario tra le religioni anche in Asia

Padre Bini (OFM) si dichiara vicino a quanti soffrono per la guerra

 

“Pace a questo mondo segnato dall’insicurezza, dalla paura, dalla guerra, da tante forme di violenza”, scrive anche padre Giacomo Bini, Ministro Generale dei Frati Minori, guardando alla situazione di conflitto che si è sviluppata in Asia. “Il Signore – prega padre Bini - sia vicino a tutti coloro che soffrono senza avere nessuna colpa se non quella dello loro tragica impotenza”. Ma, aggiunge, “non possiamo abbandonarci ad una passiva rassegnazione senza alcuna reazione, senza intraprendere iniziative di dialogo, di riconciliazione, di solidarietà”. ”Vogliamo esprimere la nostra vicinanza particolare, in questi giorni, ai nostri Fratelli e Sorelle della Famiglia francescana che vivono in Pakistan. Parlando con Fra Sebastian Shaw, Ministro provinciale della Provincia di S. Giovanni Battista in Pakistan, abbiamo saputo che tutti i Fratelli della Provincia, pur nella trepidazione per un futuro che appare sempre più incerto, sono decisi a continuare il dialogo con tutti e ad aiutare i numerosi rifugiati che fuggono dall’Afghanistan, ogni giorno più numerosi”. Continuiamo ad essere vicini a loro nella preghiera quotidiana e, conclude padre Bini, “possiamo anche aiutare questi ‘nomadi forzati’ che, a causa della violenza, sono costretti ad abbandonare tutto quello che possiedono”.


Roma (Italia), 30 ottobre 2001 (agenzia VID) 

Afghanistan:  padre Ferrari, no alla guerra giusta e sì alla pace giusta

L'ex superiore generale dei Saveriani spiega la difficoltà attuale di dissentire sull'intervento anglo-americano

 

No alla “guerra giusta”, sì alla pace. È la posizione che padre Gabriele Ferrari, già Superiore dei Missionari Saveriani, riafferma nell’editoriale della rivista mensile “Testimoni”. “Essere per la pace – precisa il religioso -  non è essere contro gli americani e in favore dei terroristi. Essere per la pace non significa lasciar impuniti i colpevoli del terrorismo, ma cercare le strade coerenti con il vangelo e con i diritti dell’uomo”. Inoltre, “essere per la pace comporta chiedere che l’ONU si attivi e sia ascoltato anche dagli Stati Uniti, usare il Tribunale penale internazionale, cercare di risolvere i conflitti in atto e abbattere le barriere della povertà che oppongono il Sud al Nord del mondo”.“L’impressione è che oggi non si possa proprio dissentire”. E “chi osa farlo è accusato di mancare di rispetto ai morti di Manhattan o alla sofferenza degli americani”. Ma questa guerra può essere definita “giusta”? A questa domanda padre Ferrari risponde che “la guerra non era la soluzione giusta. Che Bush scatenasse la guerra era proprio quello che volevano i terroristi, tanto è vero che il 7 ottobre, a poche ore dall’inizio dei bombardamenti, è stato puntualmente trasmesso il video preparato da Osama Ben Laden sugli schermi della catena televisiva Al Jazeera. Dichiarando la guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono messi sullo stesso piano dei terroristi, togliendosi dalla posizione di vittime. Non bastano le porzioni alimentari sganciate sull’Afghanistan insieme con le bombe a mascherare un’aggressione che finisce per far danno alla popolazione civile”. Anche la tradizione cattolica va rivista, proseguendo la linea dell’ultima versione del “Catechismo della Chiesa cattolica”   “Come non vedere nell’applicazione oggi della teoria della guerra giusta una colossale e tragica ipocrisia? Siamo davanti ad una teologia esatta e puntuale sul piano della forma e delle parole, ma che si sfalda immediatamente quando è confrontata, per esempio, alle molte vittime civili, alle folle senza tetto, ai profughi, agli innumerevoli bambini irakeni morti in questi dieci anni a causa delle conseguenze della guerra e dell’embargo ad essa collegato. Una simile teologia (se ancora può attribuirsi questo nome) non è forse una teologia di morte? Una contraddizione”. La vera soluzione, dunque, sta nell’impegno per “prosciugare il bacino di cultura del terrorismo”. E per riuscire nell’intento, occorre “dialogare, bisogna raggiungere degli accordi e dei compromessi e applicarli con la forza del consenso delle nazioni. Se questo valeva in passato, quanto più oggi in presenza di questa guerra nella quale il nemico non si vede, non perché nascosto nelle grotte dell’Afghanistan, ma perché potrebbe essere anche in casa propria, magari nell’appartamento accanto; perché si tratta di un nemico che usa le borsa e i mercati finanziari e ha un esercito internazionale di kamikaze istruiti proprio da coloro che poi ne sono le vittime, che invia le polverine dell’antrace attraverso il servizio postale nazionale”.


Milano (Italia), 31 ottobre 2001 (agenzia VID)

Terrorismo:  Mondo e Missione, estirpare le radici dell'odio

La rivista italiana del PIME critica l'attacco anglo-americano come soluzione al fenomeno della violenza

 

Piuttosto che attaccare il nemico, meglio sarebbe "estirpare le radici dell'odio", comprese quelle nuove che radica chi getta le bombe. Lo sottolinea l'editoriale del prossimo numero di "Mondo e Missione", il mensile del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). "Per troppo tempo - spiega il testo - l’Occidente ha sottovalutato - in ogni senso - l’Islam e in genere la cultura dei Paesi che ad esso si rifanno". Certo, "non si possono certo concedere attenuanti di sorta a chi decide di eliminare 6-7.000 civili (qualche centinaio dei quali musulmani!) in un’azione criminale". Ma anche con questa condanna netta ed inequivocabile, "il problema resta. L’attacco all’Afghanistan dei taleban servirà probabilmente a distruggere basi terroristiche, a incutere paura, a compattare ex nemici sulla scena internazionale. A prezzo di quante vite lo sapremo quando la polvere si sarà alzata. E tuttavia: se non si proverà, tutti, a estirpare le radici dell’odio, quelle gettate dai caccia anglo-americani diventeranno altrettante bombe ad orologeria. Pronte a scoppiare - non sappiamo dove e quando - nel cuore dell’umanità". La strada da seguire, insomma, è indicata dal "realismo cristiano" che "indica la via alla novità: provare a cambiare il mondo cominciando col cambiare il cuore. Moralismo? No, affatto. Ripensare l’approccio all’altro è rivoluzionario".


Milano (Italia), 1 novembre 2001 (agenzia VID) 

Terrorismo:  padre Cagnasso, "dobbiamo amare Bin Laden"

L'ex superiore generale del PIME riflette sulla dura lezione del perdono e della conversione che Gesù ha lasciato ai discepoli

 

“Noi dobbiamo amare i taleban”, anzi dobbiamo pregare per Bin Laden e se fosse possibile fargli del bene. A dirlo non è un alletao o un ammiratore di estremisti ma padre Franco Cagnasso, fino a qualche mese fa superiore generale del PIME e ora in procinto di partire missionario per il Bangladesh. Ha affidato la sua riflessioneincetrata sull’accoglienza della mentalità di Gesù che ha chiesto di perdonare  e far del bene anche ai nemici, alle pagine della rivista missionaria “Mondo e Missione”. Cagnasso spiega che non si deve amare  le  intenzioni malvagie dei taleban, la loro religiosità che, al di là delle parole, è idolatria. “Però – aggiunge - dobbiamo e vogliamo amare le loro persone anche se hanno costumi da straccioni, facce stralunate, mitra in mano, sguardi sprezzanti, parole insultanti e violente. Noi dobbiamo amare i nemici dei taleban, gli occidentali. Anche quelli che sono contenti della guerra perché faranno soldi vendendo armi, quelli che vogliono dominare il mondo perché si ritengono superiori, quelli di cui il salmo dice «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono» (Salmo 49, 13); ora si propongono come difensori dei valori, domani riprenderanno a distruggere proprio i valori in cui crediamo e a deridere le nostre realtà più belle: la fede in Dio, la semplicità, la mitezza, la sobrietà… Dobbiamo amarli gratuitamente, nessun altro se non Gesù lo fa. Amarli perché sono uomini e donne creati da Dio e amati da Lui. Dio desidera che Bin Laden vada in paradiso con Lui, e sta facendo di tutto perché possa aprirsi alla grazia e accogliere il suo perdono”. E noi – si chiede il missionario - che possiamo fare per metterci dalla parte di Dio che vuole conquistare l’amore di Bin Laden come quello di Bush, e offre ad entrambi il suo perdono? Possiamo anzitutto crederci e poi, se crediamo, parlarne. Annunciare questa buona notizia di cui siamo missionari, una buona notizia davvero nuova anche dopo 2000 anni di cristianesimo. Possiamo, oltre che pregare, fare il bene. A Bin Laden? A Bush? Se fosse possibile sì, certo. Se non è possibile in maniera diretta, siamo comunque chiamati a farlo indirettamente. Siamo avvolti da un’atmosfera inquinata da paura e odio, proprio mentre il Vangelo ci dice: «Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla» (Lc 12, 4). Noi invece abbiamo paura di chi può ucciderci, o toglierci il nostro benessere e la nostra tranquillità, e non ci preoccupiamo del fatto che i cuori sono conquistati dalla faziosità, dal giudizio, dal desiderio di violenza e di vendetta. A queste cose si risponde soltanto moltiplicando l’amore, e il bene. Quanto più il mondo impazzisce, e ci sembra che interi popoli siano preda della follia, tanto più – è la conclusione di padre Cagnasso - dobbiamo pensare che è necessaria la missione, cioè la venuta dello Spirito di Dio che è amore pace e perdono e invito al pentimento. Dobbiamo sentire compassione per le folle, e perciò pregare perché ci siano operai per la messe, pregare per essere noi operai disponibili a quel lavoro che Gesù vuole e fa, e che conduce alla croce, non il lavoro del solo buon senso, o peggio ancora dell’inimicizia e delle armi.


Canberra (Australia), 3 novembre 2001 (agenzia VID) 

Australia:  Gesuiti denunciano restrizioni sul diritto di asilo

Dopo l'11 settembre più difficile la vita dei rifugiati

 

Il Jesuit Refugee Service (JRS), la struttura della Compagnia di Gesù che si prende cura dei problemi dei rifugiati, denuncia che gli ultimi sette disegni di legge  relativi ai richiedenti asilo approvati dal governo australiano alla fine del mese scorso, non sono altro che una regressione nelle leggi sui rifugiati e una grave minaccia per i diritti umani. Tra le misure ci sono le limitazioni alle iniziative indipendenti  di revisione delle decisioni del Dipartimento dell'Immigrazione riguardanti i richiedenti asilo, una nuova interpretazione della definizione di rifugiato, la concessione solo di visti temporanei per coloro che non vengono direttamente dal paese di origine. Il JRS osserva inoltre che l'opinione pubblica si è spostata a favore del governo e padre Andre Sujopranoto, SJ, direttore del JRS del Pacifico, ha sottolineato in una dichiarazione che  "il governo ha deliberatamente creato confusione sull'intera questione dei richiedenti asilo fin dagli eventi dell'11 settembre." "Il termine ‘richiedente asilo' – ha aggiunto - è divenuto sinonimo di 'illegale' se non di 'terrorista' creando così un equivoco che ha contribuito effettivamente alla popolarità del governo." Inoltre, il religioso ha osservato che a suo avviso il governo ha  "crudamente usato" i recenti atti terroristici negli USA. "Nel momento in cui la necessità di proteggere i rifugiati e i richiedenti asilo è maggiore in quanto la guerra al terrorismo continua, l'Australia ha fatto passi indietro nell'impegno  di protezione dei rifugiati e diritti umani". 


Roma (Italia), 6 novembre 2001 (agenzia VID) 

Pace:  contro terrorismo migliorare rapporti Nord-Sud

Lo chiede un editoriale di "Missioni Consolata" che critica la politica unilaterale degli USA

 

“La politica statunitense non si è dimostrata particolarmente illuminata sul rapporto Nord-Sud del mondo”, scrive padre Ugo Pozzoli, Missionario della Consolata negli Usa, nell’editoriale dell’ultimo numero di “Missioni Consolata”, la rivista mensile dell’Istituto. L’editoriale, sotto forma di riflessione ai lettori, è dedicato alle conseguenze dell’attacco terroristico contro gli Usa dell’11 settembre. Padre Pozzoli condanna senza mezzi termini la violenza e sottolinea però la necessità che “la caccia” ai responsabili, “non si tramuti in una spirale di violenza”. “Gli americani che ora chiamano a raccolta tutti gli alleati contro il terrorismo, dimenticano le loro prese di posizione unilaterali, che li hanno esposti a critiche anche da parte degli amici europei”. In sostanza, il religioso sottolinea che da parte Usa “c’è stata arroganza nelle scelte riguardanti l’ambiente, il nucleare, gli armamenti, per non parlare dell’embargo contro Iraq e Cuba. E’ davvero così strano che qualcuno non ami l’America?”. Pensando al futuro, occorre lavorare per una “leadership illuminata” che “tiene conto di chi lavora a fianco, lo promuove, lo guida per ottenere i risultati migliori nel bene comune”. “Questa è la leadership che il mondo si aspetta dagli Usa a livello economico, politico e militare” e che “potrà sconfiggere con successo” ogni tentativo terrorista “di minare i valori della democrazia e libertà, di cui gli Stati Uniti si dichiarano paladini”.


Roma (Italia), 7 novembre 2001 (agenzia VID) 

Afghanistan:  suore missionarie, la guerra non risolve problema terrorismo

Suor Antonietta Papa, segretaria del SUAM, contraria all'impiego della violenza  

 

La guerra contro l’Afghanistan non risolve il problema del terrorismo che ha causato tante vittime innocenti negli Stati Uniti. Per questo è un mezzo sbagliato che rischia concretamente di coinvolgere altri innocenti, allargando il fossato dell’ingiustizia. E’ quanto ha dichiarato ad un’agenzia di stampa italiana suor Antonietta Papa, della Congregazione delle Figlie di Maria e segretaria del SUAM (Segretariato che riunisce gli istituti missionari) e che ha trovato eco anche nella riflessione  di suor Clarice Gengaroli, superiora del medesimo istituto. “Bisogna amare nello stesso modo Bush e Bin Laden, perché questa è la nostra logica, la logica del Vangelo” afferma suor Papa. E la superiora fa eco invitando a pregare per tutti e a sperare nella conversione dei cuori che riguarda ugualmente sia Bin Laden che Bush. L’uso delle armi non risolve i problemi e in questo caso il ricorso alla guerra è ingiustificata perché non rimuove le cause che l’hanno provocata. Queste azioni violente servono a provocare altre violenze, a produrre nuova disperazione e povertà. La risposta migliore è quella del dialogo accompagnato “da azioni concrete di giustizia”. Ma la politica sembra ormai poco sensibile a queste ragioni e si è affidata alla forza delle armi anziché alla ragione.


Washington (Usa), 8 novembre 2001 (agenzia VID) 

Gesuiti:  negli Stati Uniti si teme minore impegno per la giustizia

E' il frutto del clima dopo l'11 settembre, ma ci sono religiosi che chiedono di reagire  

 

L’attacco terroristico dell’11 settembre non deve portare una diminuzione dell’impegno per la giustizia sociale all’interno della Compagnia di Gesù. L’invito è di padre Thomas Widner, SJ, ed è pubblicata sull’ultimo numero di “National Jesuit News”, uno dei periodici statunitensi della Compagnia. Il religioso rileva che quest’anno ci sarà una diminuzione della presenza dei Gesuiti alle manifestazioni che a metà novembre si svolgono a Fort Benning, in Georgia, per chiedere la chiusura della “School of the Americas”, centro di addestramento dei militari latinoamericani responsabili di tante violazioni dei diritti umani, poi ribattezzata “Western Hemisphere Institute for Security Cooperation”. Il movimento pacifista che ne chiede la chiusura è stato fondato da padre Roy Bourgeois, Missionario di Maryknoll, e negli anni ha avuto il sostegno crescente di molte altre Congregazioni, sia maschili sia femminili. Quest’anno, però, rileva padre Widner, “alcune scuole dei Gesuiti hanno indicato che non parteciperanno” alle manifestazioni, con la motivazione che dopo l’11 settembre “gli studenti potrebbero correre dei rischi o che le intenzioni della protesta potrebbero venire mal comprese e gli stessi manifestanti accusati di antipatriottismo in un momento in cui il paese si trova in conflitto”. A queste motivazioni, padre Widner risponde rilevando che non c’è “alcun legame” tra l’addestramento dei militari sudamericani e gli attacchi terroristici di settembre. E poi, aggiunge, “che ne è del ruolo profetico della Compagnia di Gesù e della Chiesa?”. “Le proteste a Fort Benning non hanno niente a che vedere col terrorismo” e l’impegno dimostrato dalla Compagnia di Gesù in questi anni “sarà del tutto perduto” se le scuole non parteciperanno alla protesta. Anche il provinciale della California, padre Tom Smolich, è recentemente intervenuto ribadendo che “come cittadini degli Stati Uniti, dobbiamo parlare quando la nostra voce deve venire ascoltata” ed è il caso delle richieste di chiusura della struttura militare in Georgia.


Città del Vaticano, 8 novembre 2001 (agenzia VID)

Dialogo:  anche se talora difficile, è tempo di approfondirlo tra cristiani e musulmani

Lo sostiene mons. Fitgerald dei Missionari d'Africa e segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso

 

Non scontro frontale tra Occidente ed Islam, ma piuttosto “collaborazione”. Lo sostiene mons. Michael Fotzgerald, dei Missionari d’Africa, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, riunito in questa settimana in Assemblea plenaria. All’ordine del giorno, anche l’esame di un documento proprio sui temi e gli aspetti pratici del dialogo interreligioso. “Credo che gli eventi di questi ultimi tempi, dall'11 settembre, - ha spiegato mons. Fitzgerald - non fanno che sottolineare l'importanza del dialogo e anche, forse, le sue difficoltà e mettono quindi in evidenza la necessità di una volontà fondata sulla nostra spiritualità e sulla nostra fede cristiana, che sia un contatto evangelico con persone di altre religioni, e spero che il documento allo studio servirà per incoraggiare un vero dialogo interreligioso”. Per quanto riguarda i rapporti tra Islam e Occidente, l’opinione di mons. Fitzgerald è che “c'è una parte di questo mondo dell'islam che è veramente contro l'Occidente, ma ci sono molte voci che sostengono questa lotta contro il terrorismo anche da parte musulmana, e non sono in favore di questa lotta, di questo modo di lottare. Noi abbiamo avuto appelli da parte di musulmani per una comune condanna del terrorismo e per una collaborazione. Credo che la lotta contro l'estremismo sia una lotta comune a cristiani e musulmani. Dunque, io rifiuterei questa teoria di scontro tra le civiltà e credo che sia piuttosto un momento di dialogo tra le culture e dobbiamo trovare i mezzi per approfondire questo dialogo”.


Brescia (Italia), 8 novembre 2001 (agenzia VID)

Terrorismo:  teologi Concilium, l'Occidente non dia risposte miopi

Occorre unirsi in favore di tutte le vittime della violenza della globalizzazione  

 

Dal trauma dell’11 settembre ad un esame coraggioso di tutte le vittime della globalizzazione, senza fermarsi alla risposta più facile e scontata nell'immediata com’è la guerra al terrorismo, ma cercando di capire i meccanismi dell'ingiustizia per creare un mondo più giusto e condiviso. E’ il senso di una “Dichiarazione” siglata dal Comitato di Direzione della rivista internazionale di teologia “Concilium” dopo i tragici eventi dell’11 settembre. Nel Comitato di direzione sono presenti numerosi teologi di ordini e congregazioni religiose. La stessa rivista è nata per iniziativa anche di tre grandissimi teologi religiosi come Rahner, Congar e Schillebeeckx. “La catastrofe dell’11 settembre – si afferma in una delle riflessioni- non dovrebbe nascondere le tragedie e le catastrofi silenziose che hanno luogo quotidianamente e senza che siano notate da quasi tutti i media mondiali in Africa, in Asia e in America Latina. Gli attacchi a New York e a Washington sono diventati un evento mediatico in cui finzione e realtà si sono drammaticamente fuse insieme, mentre allo stesso tempo decine di migliaia di persone vanno incontro ogni giorno alla morte ignorate dal mondo e presto dimenticate. Soltanto coloro che combattono contro questa dimenticanza unilaterale hanno il diritto a che il loro risentimento contro questa nuova forma di male – manifestata nella strumentalizzazione di un gruppo di innocenti passeggeri di aereo usato per uccidere un altro gruppo di civili innocenti – sia preso sul serio. L’orrore provato per il terrore dovrebbe essere inteso come un desiderio di pace e deve essere convertito in iniziative concrete per la pace. A questo proposito non possiamo ignorare che la prosperità finanziaria e tecnica e il potere dell’Occidente sono stati raggiunti a un prezzo elevato. La povertà di numerose regioni del globo è tuttora inimmaginabile. I flussi politicamente non controllati di denaro che circolano in tutto il mondo svolgono spesso un ruolo destabilizzante in molti paesi. In non poche nazioni post-coloniali la repressione, o la corruzione dell’opposizione politica legittima, sono accettate dai maggiori centri e agenzie internazionali di potere, quali il Fondo monetario internazionale, nei loro rapporti d’affari con quei paesi. Ciò non va dimenticato nella situazione attuale. Il mondo può cambiare soltanto se questo duplice livello viene riconosciuto e quindi affrontato con uno sforzo prolungato per superare le realtà globali di disuguaglianza e di ingiustizia sociale. Coloro che vivono nei paesi del benessere – concludono i teologi - hanno un obbligo particolare di denunciare l’ingiustizia nel mondo, di protestare ad alta voce contro di essa e, un po’ alla volta, di superarla. In un tempo in cui il primo impulso dei governi è di concentrarsi soltanto sulla sicurezza dei propri sistemi politici, della propria economia e dei propri cittadini, i cristiani devono ricordare ai capi politici che i fondi per pagare queste misure straordinarie di sicurezza non devono essere deviati dalle modeste somme destinate a nutrire e a portare giustizia ai poveri e agli oppressi del mondo. Anziché soltanto campagne ispirate a miopi visioni, deve sorgere ora un movimento veramente globale, che unisca tra loro tutti i continenti e le varie culture, nella volontà di giustizia e di rispetto reciproco. Questo tipo di approccio offre l’unica opportunità concreta di superare il terrorismo presente e futuro e di favorire una sicurezza duratura”.


Verona (Italia), 9 novembre 2001 (agenzia VID) 

Afghanistan:  Missionari Comboniani, questa guerra è una bestemmia

La rivista "Nigrizia" condanna il voto del Parlamento italiano che autorizza l'intervento e il direttore di Misma rincara la dose  

 

La rivista Missionaria “Nigrizia” critica con forza la decisione dell’Italia di entrare in guerra contro l’Afghanistan al fianco di USA e Inghilterra e un altro comboniano, padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia “Misna” rincara la dose definendo una bestemmia questa guerra. Se anche l’Italia entra in guerra – ragiona “Nigrizia” – vuol dire che anche in Italia Bin Laden ha già vinto, dopo aver vinto a Washington, a Londra. La sua vittoria non sta nell’aver abbattuto  le Torri gemelle e mezzo pentagono, ma nell’averci persuaso che l’unico, vero terreno di confronto tra “civiltà” (e religioni) sarà quello di sempre: militare, bellico. Dove ha ragione il più forte. “Nigrizia” difende anche i pacifisti accusati sempre di utopia e codardia dai guerrafondai. Rimproverati di non aver proposte concrete alternative alla guerra. “E invece le proposte le facciamo da decenni. Proviamo a riassumerle in una sola espressione: dare autorevolezza e autorità all’ONU. Certo, adesso – 11 settembre o 7 novembre – non c’è tempo di riformare l’ONU, occorre agire in fretta. Ogni volta (Golfo, Jugoslavia, Serbia-Kosovo) non c’è tempo, bisogna fare in fretta, c’è da pensare alla guerra. Il fatto  è che l’ONU è ciò che gli Stati, i più potenti (i G8, sì) vogliono o consentono che sia. Inefficace”. Padre Albanese risponde a quanti credono ora la guerra il toccasana di tutti i mali. “Non pochi missionari e volontari che vivono nel Sud del mondo, nelle periferie dove la sofferenza è pane nero – afferma il religioso – credono che si tratti di una bestemmia: contro Dio e contro l’uomo. Forse oggi sono tra i pochi a denunciare a chiare lettere l’inganno. Non per pietismo o pacifismo. Loro testimoniano in prima persona le vessazioni perpetrate contro popoli inermi. Loro soprattutto conoscono l’effetto devastante delle mine antiuomo e di tanti altri micidiali ordigni che seminano morte e distruzione”.


Colombo (Sri Lanka), 9 novembre 2001 (agenzia VID)

Afghanistan:  Balasurya, guerra immorale che colpisce innocenti

Il teologo dello Srilanka, OMI, pone una serie di interrogativi sulla liceità di questa guerra

 

"Un disastro per molta gente innocente". Così padre Tissa Balasuriya, OMI, teologo srilankese, definisce per "Vidimus Dominum" l'azione militare contro l'Afghanistan che è in corso dal 7 ottobre. Padre Balasuriya inizia sottolineando che i mandanti veri degli attentati terroristici "devono essere identificati e portati davanti alla giustizia". Dopo questa premessa, il religioso elenca un gruppo di domande che restano irrisolte, rilevando che l'operazione militare è "tragica" per gli effetti "disastrosi" su "molta gente innocente". Inoltre, restano senza risposte delle domande, che padre Balasuriya elenca. "Non sono stati chiaramente identificati" i mandanti e l'accusa è caduta non su uno Stato ma su una singola persona, Bin Laden, e sulla sua organizzazione. Tuttavia "in questo caso di guerra contro un individuo o una associazione, qual è la responsabilità dello stato in cui queste entità operano?" E se venisse ad esempio chiamata in causa una multinazionale per le vittime che provoca una sua filiale in uno stato diverso da quello di origine "il paese delle vittime potrebbe attaccare il paese della multinazionale?". La domanda non è così assurda perché "per esempio, l'India potrebbe ritenere gli Usa responsabili per la morte di migliaia di indiani nel disastro provocato dalla Union Carbide a Bhopal nel 1984?". "Qual'è la responsabilità dei cittadini di uno stato come l'Afghanistan, soprattutto perché sono sottoposti ad un regime dittatoriale che li opprime?". E ancora - si chiede padre Balasuriya - "possono venire attaccati e uccisi dall'esercito dello stato oggetto dell'attacco terroristico?". E poi, quale ruolo dovranno avere le Nazioni Unite?  In base a queste domande, il teologo srilankese rileva che "i governi statunitense e britannico non hanno il diritto" di uccidere gli afghani e che si tratta di "un'illegale, immorale, uccisione di innocenti" e "contraria del tutto ai valori di civiltà". Dirlo chiaramente "è la responsabilità delle Nazioni Unite. È la sfida della civiltà umana di oggi".


Roma (Italia), 9 novembre 2001 (agenzia VID)

Afghanistan:   una guerra d'interessi che sta penetrando le nostre vite

Nella conferenza di padre Arnaiz alle Superiore Generali ricostruita la scarsa volontà dei potenti di evitare il conflitto

 

La guerra contro l’Afghanistan è un conflitto che poteva essere evitato, ma non è stato fatto a sufficienza per evitarlo. E’ una delle riflessioni contenute in una conferenza che padre José Maria Arnaiz, segretario generale dell’USG ha tenuto a circa 80 Superiore Generali. Il religioso ha svolto un’accurata ricostruzione della vicenda che dopo l’11 settembre ha portato alla guerra. E ha sottolineato come ormai questo sia un conflitto che sta penentrando nella nostra vita. “Mi sta procurando preoccupazione e angustia come nessun’altra cosa. In essa mi sento responsabile e su di essa penso, parlo, propongo. E’ entrata come pochi avvenimenti mondiali nella mia preghiera, nella mia vita comunitaria, nel mio lavoro, nella celebrazione del sacramento della riconciliazione e dell’eucaristia e così sto riscoprendo che devo rinnovare l’impegno per la giustizia e il dialogo, la solidarietà e la pace. Ho scoperto anche in questa occasione che l’aggressività sta in me e l’ingiustizia mi tocca e la paura non mi manca”. La conferenza di padre Arnaiz ha anche affrontato indicazioni operative concrete di cui vi informeremo nei prossimi servizi.


Roma (Italia), 10 novembre 2001 (agenzia VID) 

Afghanistan:  poca informazione su un conflitto che crea disagio nei cattolici

Lo afferma il gesuita Michele Simone di "Civiltà Cattolica", mentre il dehoniano Scheidt, arcivescovo di Rio de Janeiro critica, fortemente Bush e Bin Laden

 

In un tempo di massima espansione della cultura dell’informazione, si deve registrate la minima informazione su una guerra che ha messo il mondo in grave apprensione. E’ un’osservazione formulata da padre Michele Simone, vice direttore della rivista dei Gesuiti italiani, “La Civiltà Cattolica”. Parlando alla Radio Vaticana a proposito della guerra in Afghanistan rileva che “non è possibile tracciare un bilancio perché non conosciamo niente”. Il religioso fa notare anche che finora la S. Sede non ha pronunciato una condanna esplicita dell’intervento, forse “in attesa di vedere come si evolve la situazione e in attesa di avere maggiori elementi di valutazione”. Padre Simone rileva che “da un lato c'è certamente la necessità di combattere il terrorismo e forse è abbastanza giustificato l'intervento in Afghanistan; ma d'altro canto non si hanno tutti gli elementi per poter esprimere un giudizio nettamente contrario o a favore”. Per quanto riguarda le posizioni all’interno del mondo cattolico, il gesuita rileva che “chi ha una coscienza maggiormente pacifista si schiera contro la guerra che, come sappiamo, non è uno strumento di risoluzione dei conflitti. D'altronde un ulteriore elemento di dubbio viene proprio dalla difficoltà di delineare uno scenario del post-guerra”.  Il “disagio” che si sente di fronte al conflitto in atto potrebbe essere destinato ad aumentare o a scemare a seconda della piega che la guerra prenderà nelle prossime settimane. Decisamente critico, invece, mons. Eusebio Oscar Scheidt, dehoniano, arcivescovo di Rio de Janeiro. Parlando del presidente americano Bush e del leader musulmano Bin Laden, ha detto che “uno è un terrorista che si nasconde nelle caverne e l’altro è un terrorista che semina bombe”. “Il peggiore terrorismo – ha aggiunto – è comunque quello di chi fabbrica le armi”.  L’arcivescovo ha espresso queste opinioni durante un incontro con gli imprenditori della città. “La violenza che viviamo quotidianamente è fatta di atti di terrore in scala differenziata, ma non per questo meno gravi. Non possiamo seguire un ordine mondiale che dà privilegi a pochi a scapito di molti”. E per quanto riguarda prossime iniziative nella sua diocesi, mons. Scheidt ha promesso di avviare “un corso di formazione etica per futuri candidati a incarichi politici e cariche pubbliche”.


Roma(Italia), 10 novembre 2001 (agenzia VID)  

Afghanistan:  padre Arnaiz, una guerra che ha radici nell'odio

Cresce il pericolo che aumenti nei confronti dell'Occidente

 

La guerra contro l’Afghanistan, la prima del mondo unipolare nel quale gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza  senza essere riconosciuti leaders mondiali, è una guerra che poteva essere evitata e che ha le sue radici nell’odio. E’ il parere del padre José Maria Arnaiz, SM, segretario generale dell’USG, contenuto in una ampia e articolata conferenza tenuta a un centinaio di superiore generali. Le radici dell’odio – rileva Arnaiz - sono profonde e si radicano sostanzialmente nell’ingiustizia strutturale di un sistema che lascia molti paesi, generalmente del Sud, a servizio del benessere di altri paesi, generalmente del Nord del mondo. Questo decidere sulla pelle dei paesi poveri in funzione del benessere di una parte di umanità è uno stile dell’Occidente che alla lunga si sta rivelando fortemente controproducente. I terroristi morti suicidi l’11 settembre sono l’emblema del livello di odio accumulato verso l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare. I problemi venuti alla luce con quel gesto criminale sono soltanto la punta di un iceberg. Non si può reggere alla lunga una condizione di interi popoli “servi e servitori dell’Occidente”. Non ci troviamo di fronte a una guerra di religione, ma a una guerra che nasce dalla frustrazione collettiva di popolazioni che soffrono la fame, la malattia, l’ignoranza e che non hanno niente per decidere sul proprio destino. La lotta contro il terrorismo – sostiene Arnaiz - passa per una sorta di rivoluzione culturale che deve permettere di conoscere le cause per cui questo fenomeno è sorto, si è esteso e ha preso le modalità più diverse. E perché soprattutto si è diffuso tra le masse povere dell’Islam. I pareri sulla guerra in questo mese, anche tra i cristiani, sono stati i più diversi. Ma ci si chiede se c’era un’alternativa alla risposta armata e se sono state tentate altre strade prima di imbarcarsi in una guerra come quella che la popolazione afghana sta subendo. Proposte alternative non sono mancate, come l’avvio di una nuova stagione della cooperazione economica internazionale. E la proposta di un nuovo ordine politico internazionale. Il prolungarsi di una guerra tragica può giocare a sfavore dell’America e dell’Occidente. E’pertanto necessario coltivare e vivere una cultura di pace, costruire gente di pace.


Roma (Italia), 10 novembre 2001 (agenzia VID) 

Pace:  quattro parole per evitare una prossima guerra

Le ha suggerite padre Arnaiz a un centinanio di Superiore Generali

 

Pensare, sentire, attuare, formare  alla pace. Sono i quattro verbi intorno ai quali padre José Maria Arnaiz, SM, ha suggerito un cammino della pedagogia della pace per evitare di doverci trovare, conclusa quella con l’Afghanistan, di fronte a una nuova guerra. Le quattro piste di riflessione sono state la parte conclusiva di un’ampia conferenza tenuta lo scorso 8 novembre a un centinanio di superiore generali. Anzitutto “pensare” la pace e pensare come persone di pace, evitando il fanatismo e preparandosi a saper vivere nella diversità tramite il dalogo. Offrire un’alternativa culturale inclusiva, globale, democratica, ospitale, accogliente. Ripensare la dimensione economica del mondo in direzione di una giusta distribuzione delle risorse. Pensare che “nell’orizzonte globale dell’umanità non basta perfezionare la difesa militare ma è necessario promuovere al giustizia sociale globale. “Sentire” in secondo luogo, la pace. E’importante – dice Arnaiz tra le tante cose – avere sentimenti di pace e fare in modo che la pace penetri il nostro modo di sentire e i nostri affetti. Dobbiamo sviluppare l’indignazione contro ogni violenza in noi stessi e intorno a noi. Esprimere il nostro amore alla pace. Coltivare la riconciliazione e il perdono. Promuovere la non violenza come alternativa a livello sociale e politico. Ci dobbiamo preoccupare se sentiamo odio nei confronti di qualcuno, siano anche Bush o Bin Laden, americani o talebani. “Attuare” la pace. Occorre prendere posizione di fronte alla guerra e realizzare modi alternativi ad essa. Rendersi capaci e aperti alla collaborazione e alla concertazione con gli altri. Lavorare per una società più giusta e fondata sul rispetto dei diritti umani. Partecipare  ad azioni concrete per la pace: manifestazioni, preghiere, riunioni, proteste, organismi. Infine, “formare o educare alla pace”. Formare uomini e donne che rifiutino la guerra e cerchino la pace presuppone la trasmissione di criteri, inculcare attitudini e impegnarsi in processi di pace. Iniziarsi e perfezionarsi nel dialogo, formare a una partecipazione politica che sia un vero servizio al bene comune. Ai religiosi – è la conclusione di Arnaiz - tocca più che mai essere segni, memoria e profezia del Regno e dell’utopia della fraternità universale e soprattutto con i paesi islamici. Ci tocca essere segni di una chiesa che cerca la comunione e la comprensione. Se non aiutiamo l’occidente a pensare in modo nuovo non occorre essere profeti per dire che la tragedia della guerra si riproporrà nuovamente in futuro.


Nairobi (Kenya), 12 novembre (agenzia VID)

Guerra:  padre Zanotelli, pagina nera nella storia d'Italia

Da Nairobi il missionario comboniano ha espresso la sua sorpresa e dispiacere per una decisione del Parlamento che viola la Costituzione

 

Parole davvero dure quelle riservate dal missionario comboniano Alessandro Zanotelli alla decisione del parlamento italiano di votare l’entrata in guerra a fianco di Stati Uniti e Gran Bretagna contro l’Afghanistan. Una decisione che giunge dopo 50 anni dall’ultimo conflitto mondiale al quale l’Italia era stata trascinata da Mussolini e che viola apertamente la Carta costituzionale della Repubblica. Dalle baracche di Korogocho padre Zanotelli, riflettendo sulla guerra contro l’Afghanistan afferma: “Ci vogliono fra credere che quella votata dal parlamento sia una guerra necessaria, contro il terrorismo, uno strumento indispensabile per ridare all’Italia quel ruolo che le competerebbe a livello internazionale. Mai ascoltate tante falsità in una sola volta. Guerra necessaria è un binomio creato ad arte da chi pensa soltanto ai propri spudorati interessi, da chi non conosce le vie del dialogo e della pace, da chi non ha nessuna considerazione della vita umana. Ogni guerra fa strage di civili e così sarà anche in questo caso. Guerra al terrorismo è concetto altrettanto falso, perché altrimenti dovremmo combattere tutti i terrorismi, tutte le ingiustizie, tutte le stragi. Ma così non è. Che cosa dovremmo penare, allora, di chi uccide 30-40 milioni di persone ogni anno? E’ il numero di morti ‘dimenticati’, morti di fame, di malattie, morti in conflitti regionali dei quali nessuno parla, bambini morti per sfruttamento sul lavoro, per schiavitù: il ricco occidente non può dirsi estraneo a queste tragedie”


Roma (Italia), 13 novembre (agenzia VID) 

Terrorismo:  padre Pasqualetti, non si sconfigge con le bombe

Il Presidente della Conferenza Istituti Missionari Italiani chiede il ricorso a strumenti più adeguati

 

Padre Gottardo Pasqualetti, Missionario della Consolata, Presidente della Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI), invita i mass media ad essere più obiettivi, ricordando - rispetto alla decisione italiana di schierarsi per la guerra - che la Costituzione vieta il ricorso alle armi come soluzione dei problemi. "Non ci pare corretto - rileva padre Gottardo Pasqualetti  nel suo intervento, in rappresentanza dei missionari e delle missionarie - che a fare la parte del leone siano sempre coloro che invocano il ricorso alle armi. Esiste in Italia una società civile e un significativo numero di cattolici che 'ripudia la guerra' come recita il dettato costituzionale al quale il nostro Parlamento purtroppo non ha dato ascolto". Il presidente della CIMI sottolinea che la lotta al terrorismo esige strumenti adeguati quali ad esempio "un coordinamento effettivo di tutte le forze di polizia dei Paesi democratici, la lotta contro il riciclaggio del denaro sporco e il narcotraffico e la ratifica di un Tribunale penale internazionale permanente da parte di tutti i Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite". Rinnovando il cordoglio per le vittime delle 'Twin Towers' e del Pentagono, padre Pasqualetti ha infine stigmatizzato che "non saranno certo le bombe sull'Afghanistan a sconfiggere il terrorismo"

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