un islamologo: 

Samir Khalil Samir

 

Cosa si cela sotto la Moschea

 

La moschea è un luogo non solo di culto, ma di decisione politica: 

tutte le rivoluzioni sono sempre partite da lì

 

 

Mai come nel novembre dell'anno 2000 si è parlato di moschee in Italia.  Eppure sull'argomento continua a stagnare una cappa di genericità e d'approssimazione.  L'autore di questo articolo è un cristiano arabo nato in Egitto e insegna all'Istituto islamo-cristiano dell'Université Saint-Joseph di Beirut, fondata nel 1875.  Sacerdote gesuita, ha anche insegnato islamologia in varie università e attualmente a Roma presso il Pontificio Istituto orientale e il Pontificio Istituto di Studi arabi e d'islamistica (Pisai).  In quanto arabo, si considera di cultura musulmana, anche se di fede cristiana.  È cittadino italo-egiziano.

 L'articolo è stato scritto per "Avvenire" dell' 8 dicembre dell' anno 2000

 

Quando si discute attorno all'opportunità di costruire una moschea o di concedere terreni a questo scopo, è necessario innanzitutto no dare per scontata la conoscenza dell'oggetto della discussione. La moschea non è una chiesa musulmana. È una moschea: ha la sua funzione e le sue norme. C'è una tendenza, dovuta all'ignoranza dell'altro, a pensare che, tutto sommato, l'altro è, più o meno, identico a me, o almeno simile.  Invece dobbiamo riconoscere l'altro come diverso, se non vogliamo mentalmente annetterlo.  Perciò, per capire che cos'è una moschea, si deve guardare all'islam.

Nella tradizione musulmana, la moschea (giâmi') è il luogo dove la comunità si raduna (come indica il nome di giâmi', la radice gm'significa radunare), per sistemare tutto ciò che la riguarda:questioni sociali, culturali politiche, come anche per pregare. Tutte le decisioni della comunità si prendono nella moschea. Voler limitare la moschea a "un luogo di preghiera" è fare violenza alla tradizione musulmana.

Il venerdì (yawm al-giumu'ah) è il giorno in cui la comunità si raduna (come indica il nome di giumu'ah). Si raduna a mezzogiorno per la preghiera pubblica seguita dalla khutbah, cioè dal discorso, che non è una predica. Questo discorso affronta le questioni dell'ora presente: politiche, sociali, morali, eccetera.

In molti paesi musulmani - e per esempio in Egitto, il più popoloso Paese musulmano arabo - tutte le moschee sonno sorvegliate il venerdì e le più importanti sono circondate dalla polizia speciale. Il motivo è semplice: tutte le decisioni politiche partono dalla moschea, durante la khutbah del venerdì. Nella storia musulmana, quasi tutte le rivoluzioni e i sollevamenti popolari sono partiti dalle moschee.  La jihâd, cioè “la guerra su cammino di Dio”, obbligo di ogni musulmano per difendere la comunità, è proclamata sempre nella moschea, alla del khutbah  venerdì.

È dunque scorretto, parlando della moschea, parlare unicamente di “luogo di culto”. Com’è scorretto, parlando della libertà di costruire moschee, farlo in nome della libertà religiosa, visto che non è semplicemente un luogo religioso, ma una realtà multivalente (religiosa, culturale, sociale, politica, eccetera).

Non si può dimenticare che il luogo  dedicato alla preghiera del venerdì è considerato dai musulmani spazio sacro e rimane per sempre appannaggio della comunità, la quale decide chi ha facoltà di esservi ammesso e chi invece lo profanerebbe.  Per questo motivo non si può affidare un terreno, è per esempio per 50 anni, per edificarvi una moschea; questo terreno non potrà mai essere reso.

Esistono spesso nei Paesi musulmani, nelle città, dei piccoli “luoghi di preghiera”, chiamati di solito musallâ, cioè luogo di preghiera.  Sono come delle "cappelle" che possono contenere una cinquantina di persone e che si trovano spesso al pian terreno di una casa, al posto di un appartamento.  Questi luoghi, più discreti, sono generalmente utilizzati quasi unicamente per la preghiera del mezzogiorno, permettendo alla gente della strada o dei blocchi vicini di pregare in pace. 

Le moschee hanno generalmente un minareto da dove il muezzin fa l'appello alla preghiera. Questi minareti hanno una funzione pratica e sono generalmente più alti delle case che li circondano.  Hanno assunto talvolta nella storia una funzione simbolica, di affermazione della presenza musulmana, e talvolta una funzione politica di affermazione di superiorità dell'islam sulle altre religioni.  Il loro scopo essenziale è di permettere alla voce umana di pervenire a chi abita vicino.  In questo secolo si sono spesso aggiunti dei megafoni nei minareti (soprattutto se c'è una chiesa vicina o un quartiere cristiano), e i muezzin hanno aggiunto altre cose all'appello alla preghiera prolungandolo.  Queste innovazioni sono contrarie alle tradizione musulmana e i Paesi musulmani rigorosi le condannano, come fa per esempio l'Arabia Saudita.  In altri Stati, come l'Egitto, l'uso del megafono è limitato unicamente all'appello (che dura circa due minuti) ed è vietato per la preghiera dell'alba.

Infine, è necessario chiedersi chi finanzia moschee e centri islamici, non per intromettersi negli affari altrui, ma in virtù del principio universale che dice «chi paga comanda».  Non è un segreto per nessuno che gran parte delle moschee e centri islamici d'Europa vengono finanziati da governi estranei, in particolare dall'Arabia Saudita, che impone anche i suoi imâm. Ora, è ben noto che nel mondo islamico sunnita l'Arabia Saudita rappresenta la tendenza più rigida detta wahhabita.  Non sono questi imâm che potranno aiutare gli immigrati a inserirci nella società occidentale, né ad assimilare la modernità, condizioni necessarie per una convivenza serena con gli autoctoni.  Dopo avere chiarito l'oggetto della discussione, ci permettiamo qualche elemento di giudizio.  Permettere ai musulmani di avere dei luoghi di preghiera in Occidente va da sé.  Sarebbe probabilmente più adatto al contesto sociologico degli immigrati (che rappresentano la stragrande maggioranza dei musulmani in Italia) di avere dei musallâ, ossia delle "cappelle" dove potrebbero trovarsi più comodamente per pregare.  Sarebbero anche meno costose per loro.

La moschea, in quanto centro socio-politico-culturale musulmano non può entrare nella categoria dei luoghi di culto.  Deve essere esaminata come tale.  Alla pubblica amministrazione spetta studiare come esercitare un certo controllo su tali centri, vista la funzione politica che hanno assunto nella tradizione islamica.  Non si capisce bene invece in base a quale ragione una amministrazione locale dovrebbe regalare il terreno o una parte della costruzione.

L'opposizione che si vede un po' dappertutto in Europa rispetto all'edificazione di moschee può essere originata da sentimenti di xenofobia, ma è anche probabile che derivi dal timore che essa sia un atto politico di affermazione di una identità diversa sotto tutti gli aspetti, troppo estranea alla cultura e alla civiltà occidentali.

Se un tale centro musulmano potesse aiutare gli emigrati ad integrarsi nella società italiana locale e nazionale, promuovendo corsi e altri servizi, sarebbe da incoraggiare, lo scopo essendo la costruzione fatta insieme, emigrati e autoctoni, di una società comune e solidale.  Potrebbe essere incoraggiata (anche materialmente) la costituzione di gruppi o associazioni misti, costituiti da emigrati (musulmani e non), e autoctoni per rinforzare l'integrazione dei primi nella società italiana e l'apertura dei secondi agli immigrati.

Tenendo conto della tradizione musulmana multisecolare di non distinguere religione, tradizioni, cultura, vita sociale e politica, sembra importante che i responsabili si informino bene per operare queste distinzioni e siano molto attenti a non incoraggiare la politicizzazione ( sotto qualunque forma) dei gruppi d'emigrati (musulmani e non).

Infine è utile notare un piccolo particolare: secondo i dati ufficiali, gli immigrati musulmani rappresentano circa un terzo di tutti gli immigrati in Italia  Eppure fanno parlare di loro molto più che gli altri due terzi.  È doveroso chiedersi perché.  Mi sembra che il motivo sia proprio la tendenza dei musulmani a politicizzare la propria presenza, a renderla visibile (sia per tendenza naturale, sia perché esistono lobby potenti di musulmani italiani o stranieri).  Ed è questa politicizzazione e questa tendenza all'affermazione della loro identità come diversa dagli altri che suscita reazioni di rigetto o di rifiuto.  Non sarebbe più conforme agli interessi dei musulmani stessi cercare di vivere la loro vita ( e la loro fede) in maniera discreta e puntando a una vera integrazione?

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